Meloni volta le spalle ai diritti: l’Italia si rifiuta di condannare Orbán per la repressione anti-Lgbtq+
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Meloni volta le spalle ai diritti: l’Italia si rifiuta di condannare Orbán per la repressione anti-Lgbtq+

L’Unione Europea ha alzato il tono contro il governo ungherese guidato da Viktor Orbán, intensificando la pressione su Budapest per le sue politiche restrittive nei confronti dei diritti LGBTQ+ e per il deterioramento dello Stato di diritto.

Meloni volta le spalle ai diritti: l’Italia si rifiuta di condannare Orbán per la repressione anti-Lgbtq+
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27 Maggio 2025 - 22.47


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L’Unione Europea ha alzato il tono contro il governo ungherese guidato da Viktor Orbán, intensificando la pressione su Budapest per le sue politiche restrittive nei confronti dei diritti LGBTQ+ e per il deterioramento dello Stato di diritto. In una dichiarazione congiunta, 17 Paesi membri – tra cui Francia, Germania, Spagna, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca – hanno condannato il recente divieto del Pride di Budapest e le nuove misure anti-LGBTQ+ approvate dal governo ungherese, definendole una violazione dei principi fondamentali dell’Unione Europea. L’Italia, guidata dal governo di Giorgia Meloni, ha scelto deliberatamente di non firmare la dichiarazione, un atto grave che equivale a una colpevole complicità e che ha attirato dure critiche da parte delle opposizioni e della società civile.

Una nuova escalation nella repressione dei diritti

L’Ungheria di Orbán è da anni al centro di un acceso scontro con Bruxelles. La controversia odierna si concentra sull’emendamento costituzionale approvato ad aprile 2025, che ha vietato eventi pubblici LGBTQ+, incluso il Pride di Budapest, e ha sancito il primato del “corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale” dei minori sugli altri diritti fondamentali, eccetto il diritto alla vita. Questo provvedimento, sostenuto dal partito Fidesz di Orbán, ha codificato il divieto di “promozione dell’omosessualità” e di contenuti legati all’identità di genere per i minori, rafforzando una legge del 2021 nota come “legge sulla protezione dei minori”. La norma, che Bruxelles considera discriminatoria, limita l’accesso a libri, film e programmi educativi che trattano temi LGBTQ+, relegando tali contenuti a un’aura di tabù e censura.

L’emendamento consente anche l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale per identificare i partecipanti a eventi come il Pride, una pratica che viola il diritto europeo e che il Comitato di Helsinki ungherese ha definito un’“escalation autoritaria” volta a reprimere il dissenso. Le pene per chi organizza o partecipa a eventi ritenuti in violazione della legge possono includere multe fino a 200.000 fiorini ungheresi, con i fondi destinati, ironicamente, alla “protezione dei minori”.

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La reazione europea: una condanna senza precedenti

La dichiarazione congiunta dei 17 Paesi, emessa durante il Consiglio Affari Generali dell’UE, rappresenta un passo significativo nella risposta europea alle politiche di Orbán. La ministra danese per gli Affari europei, Marie Bjerre, ha dichiarato che “la situazione in Ungheria non è accettabile”, sottolineando un “declino in termini di valori e diritti fondamentali”. Il commissario europeo per la Democrazia, Michael McGrath, ha ribadito che il divieto del Pride e altre misure restrittive violano la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, chiedendo l’attivazione della procedura dell’articolo 7, che potrebbe portare alla sospensione del diritto di voto dell’Ungheria in seno al Consiglio dell’UE.

La Commissione Europea ha già avviato procedure di infrazione contro l’Ungheria, in particolare per la legge del 2021, che è stata deferita alla Corte di Giustizia dell’UE nel 2022 con il sostegno di 16 Stati membri e del Parlamento Europeo. La Corte sta esaminando il caso, e una sentenza potrebbe obbligare Budapest a modificare la legislazione. Tuttavia, la recente modifica costituzionale, che eleva il divieto a livello di legge fondamentale, complica ulteriormente la situazione, rendendo più difficile per l’UE imporre cambiamenti senza un’azione politica concertata.

L’assenza dell’Italia: una scelta vergognosa e inquietante

L’Italia, sotto la guida del governo di destra di Giorgia Meloni, si è rifiutata di aderire alla dichiarazione congiunta, una scelta che rappresenta non solo una mancanza di coraggio politico, ma anche una vergognosa accondiscendenza verso le derive illiberali di Orbán. In un’Europa che cerca faticosamente di arginare l’avanzata dell’autoritarismo e la repressione dei diritti civili, l’Italia si distingue per il suo silenzio colpevole e per il suo allineamento con chi viola apertamente i valori fondanti dell’Unione.

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Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha definito la mossa di Orbán “un attacco frontale all’idea stessa di Europa, ai diritti umani e alla democrazia”. Alessandro Zan, europarlamentare del PD, ha accusato il governo italiano di fare da scudo a Orbán, descrivendo il premier ungherese come un modello per Meloni e Matteo Salvini. Anche il Movimento 5 Stelle ha chiesto al governo italiano di chiarire la sua posizione, sottolineando che l’Ungheria “sta uscendo dai parametri basilari dell’UE”.

L’assenza dell’Italia non è una novità: già nel 2023, Roma si era astenuta dal sostenere una causa contro la legge anti-LGBTQ+ ungherese, unendosi a una minoranza di Paesi che hanno scelto di non opporsi apertamente a Budapest. È evidente che il governo Meloni ha abbandonato ogni velleità di leadership europea, scegliendo invece la subalternità ideologica a modelli autoritari e oscurantisti, con gravi conseguenze per la credibilità internazionale del Paese.

La comunità Lgbtq+ ungherese: tra paura e resistenza

Le restrizioni di Orbán hanno avuto un impatto devastante sulla comunità LGBTQ+ ungherese. L’artista Gideon Horváth, che lavora con ceramiche e cera d’api per esplorare le identità queer, ha raccontato a Euronews di aver subito censure: un suo lavoro esposto in un museo nazionale è stato privato di ogni riferimento alla sua natura queer per rispettare la legge. “Non ho avuto altra scelta se non accettare questa censura, altrimenti non mi sarebbe stato permesso di esporre”, ha dichiarato, sottolineando il clima di paura e autocensura che permea la società ungherese.

Attivisti e organizzazioni per i diritti umani, come il Comitato di Helsinki e Amnesty International, denunciano che le leggi di Orbán non solo limitano i diritti civili, ma alimentano un aumento dei reati d’odio contro le persone LGBTQ+. Nel 2012, l’Ungheria era al nono posto in Europa per i diritti LGBTQ+, secondo ILGA-Europe; oggi è scesa al 28° posto, un chiaro indicatore del declino democratico sotto il governo di Fidesz.

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Il contesto politico: l’opposizione cresce

Nonostante il pugno di ferro di Orbán, l’opposizione interna sta guadagnando terreno. Il partito Tisza, guidato da Péter Magyar, ha superato Fidesz nei sondaggi, con il 46% delle preferenze contro il 39% del partito di governo, in vista delle elezioni del 2026. Una consultazione popolare organizzata da Tisza ha visto oltre un milione di ungheresi esprimere sostegno al suo programma, che promette di invertire la deriva autoritaria. Tuttavia, gli attivisti di Tisza hanno denunciato aggressioni da parte di militanti di Fidesz, un segnale della crescente tensione politica nel Paese.

Un bivio per l’Europa

La battaglia tra Bruxelles e Budapest non riguarda solo i diritti LGBTQ+, ma il cuore stesso dei valori europei. La Commissione Europea, sotto la guida di Ursula von der Leyen, ha promesso di non tollerare ulteriori violazioni, ma l’attivazione dell’articolo 7 richiede una volontà politica che finora è stata ostacolata dall’unanimità necessaria per sanzioni più severe, come la sospensione del diritto di voto. Paesi come la Slovacchia di Robert Fico, anch’essa incline a politiche illiberali, potrebbero complicare il raggiungimento di un consenso.

Nel frattempo, la società civile ungherese e le istituzioni europee continuano a chiedere un’Europa che non chiuda gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani. Come ha dichiarato Katrin Hugendubel di ILGA-Europe, “non si tratta solo di regole dell’UE, ma di diritto internazionale e della dignità umana”. La lotta per i diritti LGBTQ+ in Ungheria è diventata un simbolo della resistenza contro l’autoritarismo, e l’Europa si trova a un bivio: agire con decisione o rischiare di perdere la propria credibilità come baluardo di democrazia e uguaglianza. L’Italia, oggi, ha scelto la strada più buia.

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