Posiamo continuare a scrivere, a discutere, a indignarci per tutto quello che scaturisce dall’attuale governo di destra, ma non dobbiamo dimenticare che la vera tragedia italiana è la mancanza di una alternativa credibile allo s-fascismo attuale.
Per meglio comprendere il momento è indispensabile compiere un breve passo indietro, e ritornare alla vigilia delle ultime elezioni politiche, che hanno sancito la vittoria di Meloni e la nascita del nuovo esecutivo. La legge elettorale per la Camera prevedeva che il 37% dei seggi fosse assegnato con il sistema maggioritario in collegi uninominali; alla Camera la coalizione di centro destra aveva ricevuto 12 milioni di vita circa, mentre la coalizione di centro sinistra ne aveva ottenuti circa 7 milioni, il Movimento 5 Stelle 4 milioni circa, per un totale di 237 seggi al centro destra, 85 al centro sinistra e 52 ai 5 Stelle. Sarebbero sufficienti questi pochi dati per rimarcare il fatto che la coalizione del centro destra, che aveva ottenuto in termini percentuali il 43% dei voti ha ottenuto più del 50% dei seggi alla Camera, e se sommiamo i voti del centro sinistra e dei 5 Stelle il risultato reale è stato del 41%, soltanto 2 punti in meno in percentuale. Se la differenza in termini di voti reali, tra la destra e il centro sinistra è stata di 2 punti, in termini di assegnazione di seggi i rapporti di forza sono di 237 eletti contro 137 su 400. Lo stesso discorso vale anche per il Senato, anche se i seggi sono soltanto 200.
Sarebbe bastato creare delle alleanze, come ha fatto il centro destra, nei singoli collegi uninominali e il risultato elettorale per il centro sinistra sarebbe stato profondamente differente e probabilmente Meloni avrebbe incontrato notevoli difficoltà nella creazione del suo governo. Questo accadeva 3 anni fa, nella primavera del 2022.
Nell’ultimo fine settimana si sono svolte delle elezioni amministrative in alcuni Comuni, tra cui Genova, dove il cosiddetto campo largo è riuscito a far eleggere al primo turno la candidata Silvia Salis con il 51% circa dei consensi.
Grandi entusiasmi da parte dei vincitori, ma ecco che Giuseppe Conte, leader dei 5 Stelle, alla presentazione di un libro, si è sentito in dovere di fornire la sua versione sulla recente vittoria. Secondo il lider maximo del Movimento non è il caso di esaltarsi troppo, dal momento che in politica “non si può sperare in una sommatoria aritmetica”, che non sempre funziona. Parole di buon senso, si direbbe, che però contraddicono la realtà, perché se è vero che non basta mettersi insieme per vincere le elezioni, è però certo che, divisi, con l’attuale legge elettorale, si perde, come ampiamente dimostrato dai dati che abbiamo appena fornito.
Allora perché Conte dice le cose che dice?
Perché è masochista? Vuole perdere? Vuole creare confusione? Oppure perché deve trovare il modo di mettersi in evidenza?
Il Partito-movimento di Conte è in caduta libera da parecchie consultazioni, ed ha ottenuto il 5%, superato da Pd e Avs, migliorando di pochissimo il 4,40 delle precedenti amministrative, mentre il Pd è passato dal 20% al 29%. Non solo a Genova, ma in tutto il Paese è evidente il declino dei 5 Stelle, che rischiano la marginalità, e la leadership di Conte, nonostante il suo interventismo, non sembra capace di frenare l’emorragia di voti e di consensi.
In questo momento di grande difficoltà, il meccanismo perverso che agita Conte è piuttosto leggibile. Più gravi sono le sconfitte elettorali e più cresce il suo protagonismo, a discapito della logica e della credibilità. Ma tutta questa vicenda sembra essere perfettamente inscritta nella genesi del Movimento, che nasce come antipolitico, si fa accreditare come forza politica e di governo e finisce per collassare nel momento in cui smette di essere contro tutto e tutti.
L’esperienza conferma che ci sono populismi di destra, ma anche di sinistra, e che sono entrambi difficilmente collocabili in una logica di schieramento, dal momento che sono ubiqui, possono tranquillamente transitare da un’alleanza a un’altra opposta, come nel caso dei 5 Stelle che hanno governato indifferentemente con Lega e Partito Democratico, sulla base della loro dichiarata apoliticità.
I populismi di destra sono nazionalisti, xenofobi, identitari, con una propensione al conservatorismo, al liderismo, ostili nei confronti delle regole della democrazia, affascinati da modelli autoritari, se non addirittura totalitari. Il populismo di sinistra perfettamente incarnato in Italia dai 5 Stelle e in Germania dal movimento rosso-bruno di Sahra Wakenkneght si caratterizza per una vocazione più sociale, vorrebbe difendere gli interessi delle classi popolari, i redditi più bassi, ma come nel caso del Conte 1 è disposto a barattare il reddito di cittadinanza, una forma di tutela economica, con i Decreti sicurezza che hanno ridotto drasticamente non solo i diritti dei migranti, ma anche dei cittadini italiani, in coerenza con la logica di uno scambio riprovevole tra diritti economici e diritti civili. In comune con il populismo di destra anche quello di sinistra è nazionalista e tendenzialmente xenofobo, anche se non razzista, seppure antiglobalista e vagamente patriottico, che coniuga con un profondo scetticismo nei confronti della democrazia rappresentativa, in virtù di una predilezione per forme di governo falsamente ultrademcoratiche, riassunte nello slogan “uno vale uno”, che ha finito per promuovere dilettanti allo sbaraglio nelle funzioni apicali del Governo e della cosa pubblica.
Su queste basi è difficile immaginare la costruzione di un campo largo tra le forze progressiste, alternativo alla Destra ed è purtroppo fondato il dubbio di Conte sulla fragilità di una semplice sommatoria di voti, dal momento che proprio il Partito-movimento che rappresenta è incollocabile, in una qualsiasi prospettiva di alternanza.
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