Per quelli che sono morti. E per quelli che hanno le ore contate.
Per i bimbi massacrati, amputati, ai quali è stata negata la vita e cancellata l’infanzia. Per le 28mila donne e ragazze uccise dall’”esercito più morale al mondo”. Per i 226 e oltre giornalisti morti sul campo, eliminati perché testimoni scomodi. Per le operatrici e gli operatori sanitari che hanno perso la vita per salvare vite negli ospedali bombardati. Per un popolo che da 58 anni resiste all’occupazione delle vittime trasformatesi in carnefici. Per affermare che non possono, non devono esistere due pesi e due misure, ce che se c’è un criminale di guerra a Mosca ce n’è un altro, non meno feroce, a Tel Aviv. Per sostenere chi in Israele si ribella alla deriva bellicista e messianica di un governo fascista. Per non essere complici di un genocidio in atto. Per dire che vanno sospesi gli accordi commerciali con un Paese retto da un governo che pratica la soluzione finale a Gaza e l’apartheid in Cisgiordania. Per chiedere il riconoscimento immediato, unilaterale, dello Stato di Palestina.
Per chi sarebbe stato al nostro fianco e non c’è più (Vik Arrigoni). Per continuare a guardarci allo specchio e non provare vergogna. Per testimoniare una vicinanza a prova di bombe. Per svergognare quanti tirano fuori il marchio d’infamia dell’antisemitismo contro chi osa sollevarsi contro una pratica genocidiale sentenziata dalla Corte penale internazionale (riconosciuta dall’Italia).
Per restare umani.
Per la Palestina nel cuore.
Senza se e senza ma. Il 7 giugno, a Roma.
E per tutte e tutti noi, vale quanto scritto da Antonio Gramsci
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.