Il Pd è riuscito nell’incredibile impresa di intestarsi una clamorosa sconfitta di cui non ha alcuna responsabilità.
Innanzitutto, perché la tornata referendaria non è stata promossa dal PD, ma semmai dalla CGIL e dalla società civile. In secondo luogo, perché tre dei cinque quesiti miravano ad abolire le norme cardine del Jobs Act, cioè di una legge fatta nel 2014 proprio dal PD di Matteo Renzi (allo scopo di precarizzare i contratti e rendere più facili i licenziamenti). A questo proposito, essendo il partito ancora parzialmente infestato dal renzismo, il PD non ha nemmeno fatto una campagna referendaria efficace e unitaria. Anzi, i dirigenti (da Bonaccini, a Gori, a Madia) – tanto per cambiare – si sono mossi in ordine sparso tra dichiarazioni fumose, tentazioni astensioniste, e “no” dispensati a uno, due, o tre quesiti.
In breve, il PD non ha promosso il referendum, non ha fatto alcuna battaglia politica per portare gli elettori alle urne, e non ha neppure prodotto una linea unitaria su tutti e cinque i quesiti.
Eppure, a referendum invalidato perché lontanissimo dal quorum, la segretaria Elly Schlein ha pensato bene di bacchettare Meloni&co dicendo che i partiti di governo hanno poco da festeggiare perché «i 12,5 milioni di Sì ai referendum sono più di quelli presi da loro (la destra) alle politiche, e più dei voti presi allora dal centrosinistra». Il riferimento è alle elezioni politiche del 2022, quando le opposizioni hanno perso (pur avendo ricevuto più voti dei partiti di governo) perché si sono presentate disunite.
Un capolavoro di masochismo: ricordare una sconfitta, mentre se ne celebra un’altra. Posto che il PD non ha il merito di aver ingaggiato alcuna battaglia politica contro il precariato e in difesa dei diritti dei lavoratori, né tantomeno sulla cittadinanza agli immigrati regolari, rimane incomprensibile perché Schlein abbia tenuto a sottolineare di averla persa.
Qualcuno dovrebbe spiegarle che chi non combatte non vince, ma nemmeno viene sconfitto. E soprattutto che scambiare il 30% di votanti per elettori del PD, o anche in generale dell’opposizione al governo, è un errore grossolano. Oltre che un boomerang, avendo servito un rigore a porta vuota a Giorgia Meloni, che lo ha calciato immediatamente, intestandosi l’apprezzamento del 70% degli astenuti.
Si aggiunga poi che ad avere un carattere marcatamente ideologico era solo il quinto quesito sulla cittadinanza, mentre i quattro quesiti sul lavoro erano semplicemente volti a tutelare i diritti e la sicurezza dei lavoratori dipendenti. Il che rende ancora più fuorviante l’idea che tutti i “sì” appartengano agli elettori dei partiti dell’opposizione.
Grazie a questa magistrale operazione comunicativa di Elly Schlein, la destra è riuscita a presentarsi come la vincitrice di una partita che non ha giocato.
Insomma, si spera che l’esito fallimentare di questi referendum costituisca per il PD un catalizzatore non solo per una revisione complessiva della propria linea politica – qualora se ne rintracci una – sui temi del lavoro e della cittadinanza, ma anche per un ripensamento radicale delle sue strategie comunicative.