Chi vota i populisti favorisce le guerre 
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Chi vota i populisti favorisce le guerre 

Ogni guerra porta con sé diverse cause (e relative interpretazioni): storiche, geopolitiche, religiose, economico-finanziarie, diplomatiche e così via.

Chi vota i populisti favorisce le guerre 
Trump e Netanyahu
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

23 Giugno 2025 - 12.01


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Ogni guerra porta con sé diverse cause (e relative interpretazioni): storiche, geopolitiche, religiose, economico-finanziarie, diplomatiche e così via. Tra queste mi soffermo un attimo su quelle antropologiche, importanti quanto tutte le altre.

Putin, Netanyahu, i membri di Hamas, Trump, Khamenei sono tutte persone, a cui attribuiamo tremende responsabilità, alcune diverse altre molto simili, per intenzioni, fini e mezzi usati nel dichiarare e fare guerra. Sono i giorni in cui ci chiediamo – tra le tante cose – da dove essi provengono, perché operano in questo modo, chi ha dato loro potere, cosa ha permesso la loro deriva etica e istituzionale, chi li sostiene e li conserva nel potere. Sinteticamente li classifico come populisti, della peggior specie, e mi interessa, qui, sottolineare il loro rapporto con elettori e sostenitori (del tema ne parlo diffusamente nel mio ultimo: L’etica stanca. Dialoghi sull’etica pubblica, Studium). La stessa analisi va fatta per populisti, meno violenti e folli, ma comunque pericolosi come Orban, Erdorgan, Meloni, Le Pen, Chavez, Maduro, Salvini, Grillo e cosi via.

Una pagina di Dietrich Bonhoeffer potrebbe aiutarci nell’analisi di questo fenomeno. In un testo del 1942, il pastore protestante afferma la sua convinzione: “Sembra che si tratti di una legge sociopsicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”. Bonhoeffer intende per stupidità non tanto “l’atrofia o la perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali”. Quindi non parliamo di persone stupide nel senso classico del termine, cioè senza istruzione e mezzi per conoscere e smascherare quelle donne e uomini al potere, segnati da atteggiamento combattivo, assertivo, narcisistico, ipocrita, rassicurante, decisionista, promettente, ambiguo e spesso corrotto e mafioso, disprezzante della religione. Queste persone approvano, votano ed esaltano tali leader, secondo Bonhoeffer, perché vittime di una continua e bombardante, da parte del leader, “ostentazione di potenza”, che ruba al singolo la sua indipendenza interiore, tanto da indurlo a rinunciare ad assumere “un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano”. Queste politiche instupidisconofortemente, ieri come oggi. I nuovi media non fanno altro che amplificare questa potenza dei leader. Una precisazione: gli “instupiditi” hanno provenienze e caratteristiche tra le più disparate e opposte; possono essere: maschi o femmine, di un’etnia o un’altra, colti o ignoranti, ricchi o poveri, religiosi o atei, dirigenti o operai, politici o cittadini comuni. 

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Visto che “si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto ma l’umanità di una persona” non vale la pena “di persuadere con argomentazioni lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa”, infatti non va dimenticato che questi è dominato “da slogan, motti, ecc.”. In altri termini è “ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona”. Davanti a questo quadro grave e triste, ma purtroppo vero, Bonhoeffer invoca “un atto di liberazione… un’autentica liberazione interiore” che deve essere accompagnata da una “liberazione esteriore”. La lezione del pastore martire del nazismo si chiude con un riferimento alla responsabilità e volontà “di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più sull’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini” (Resistenza e Resa).

Tutto questo Bonhoeffer lo scriveva alla fine della Seconda guerra mondiale; qualche anno dopo la fine del conflitto, nel 1950, Hanna Arendt si soffermava sulla crisi della politica, insistendo su un altro atteggiamento anch’esso oggi moto diffuso: il pregiudizio. “Oggi la politica – scriveva la filosofa tedesca – consiste in effetti nel pregiudizio verso la politica. Se vogliamo parlare di politica ai nostri giorni, dobbiamo partire dai pregiudizi che noi tutti, se non siamo politici di professione, nutriamo nei confronti della politica”. E nella nostra situazione i pregiudizi sono alimentati non solo da false campagne mediatiche ma anche da una cronica carenza formativa a livello sociale e politico. Qualche riga su descritta come diffusa stupidità.

Quindi, per concludere, l’istupidimento operato dai leader populisti, attraverso la comunicazione mediatica, e la crescita dei pregiudizi verso la politica, come dice la Arendt, fa sì che cittadine e cittadini “gettano via il bambino con l’acqua sporca, confondono con la politica ciò che alla politica porrebbe fine, e presentano quella che sarebbe una catastrofe come se fosse insita nella natura delle cose, e dunque ineluttabile”. In sintesi: “Il rischio è che il politico scompaia del tutto dalla faccia della terra” (Che cos’è la politica). E violenze e guerre regnino sovrane. Quindi, la domanda è: quando ci sveglieremo dal generale istupidimento?

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