Meloni tra ambiguità e reticenze: niente critiche a Trump, quasi muta su Israele e promesse vuote

L’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera, in vista del prossimo Consiglio europeo, ha mostrato ancora una volta tutti i limiti di una politica estera che si muove tra calcoli elettorali e sudditanza atlantica

Meloni tra ambiguità e reticenze: niente critiche a Trump, quasi muta su Israele e promesse vuote
Crosetto e Meloni
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23 Giugno 2025 - 22.14


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L’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera, in vista del prossimo Consiglio europeo, ha mostrato ancora una volta tutti i limiti di una politica estera che si muove tra calcoli elettorali e sudditanza atlantica, senza il coraggio di assumere posizioni nette né su Trump né sull’aggressione israeliana a Gaza.

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Meloni ha confermato il sostegno all’aumento delle spese militari fino al 5% del PIL (3,5% per la difesa, 1,5% per la sicurezza), aderendo senza riserve ai nuovi obiettivi NATO, ma ha cercato di blandire le opposizioni promettendo che “eventuali richieste USA per usare le basi italiane contro l’Iran passeranno dalle Camere”. Un annuncio tanto rassicurante quanto vuoto: è evidente che un’autorizzazione formale non equivale a un reale margine di scelta per il Parlamento in uno scenario già determinato da Washington.

Sull’attacco statunitense all’Iran, che ha aggravato la crisi in Medio Oriente, Meloni non ha speso una sola parola di condanna. Anzi, ha evitato accuratamente qualsiasi accenno critico verso Donald Trump, responsabile dell’azione militare, suscitando l’irritazione delle opposizioni. Quando incalzata, si è limitata a dire “non ho problemi a nominarlo” – una risposta imbarazzante che suona come l’ennesima prova della sudditanza diplomatica verso l’ex presidente USA, in piena corsa per il ritorno alla Casa Bianca.

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Anche su Israele la premier è apparsa visibilmente prudente: ha definito l’azione israeliana su Gaza “drammatica e inaccettabile”, ma senza mai usare parole come “crimini di guerra”, “assedio” o “responsabilità israeliana”, parole che la diplomazia internazionale – ONU compresa – ha già da tempo sdoganato. Il governo italiano si ferma un passo prima della condanna, come se avesse paura di turbare alleanze ormai intoccabili.

Nel frattempo, mentre la presidente si affanna a dire che “l’Italia non è coinvolta militarmente”, evita ogni riferimento alla reale natura del ruolo italiano nello scacchiere mediorientale: non una parola sull’export di armi, sul sostegno logistico e sull’uso duale delle infrastrutture militari italiane, formalmente civili.

Persino il passaggio sulla ripresa dei negoziati con l’Iran – apparentemente condiviso da parte dell’opposizione – si scontra con l’enorme contraddizione di un’Italia che da un lato invoca il dialogo, dall’altro approva senza fiatare l’escalation militare del suo alleato americano.

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Infine, la premier si è lanciata in una citazione di Margaret Thatcher per difendere gli investimenti in armi, ma dimentica che l’Italia, a differenza del Regno Unito, è oggi sotto procedura europea per deficit eccessivo: chiedere a Bruxelles “flessibilità” per comprare armi mentre si tagliano spese sociali è una linea politica che sfiora il cinismo.

In sintesi, il discorso di Meloni ha confermato un orientamento già evidente: mai urtare Washington, mai criticare Israele, e men che meno Trump. E mentre cresce il rischio di un allargamento del conflitto, l’Italia si rifugia nell’ambiguità. Una politica estera che si muove a colpi di citazioni e promesse parlamentari, ma che non trova mai il coraggio di dire la verità.


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