La sedicente ‘sovranista’ cerca alibi perché il suo obiettivo è quello di non scontentare Netanyahu e Trump.
“L’ho detto varie volte, anche in Parlamento”, così come “l’ho detto alla stessa autorità palestinese e a Macron: io credo che il riconoscimento dello Stato di Palestina, senza che ci sia uno Stato della Palestina, possa addirittura essere controproducente per l’obiettivo. Se qualcosa che non esiste viene riconosciuto sulla carta, il problema rischia di sembrare risolto quando non lo è”.
Lo ha affermato la premier Giorgia Meloni in una dichiarazione a “Repubblica”.
Le parole della presidente del Consiglio appaiono, più che frutto di una riflessione geopolitica matura, un goffo tentativo di giustificare un immobilismo dettato non dalla ragione, ma dalla convenienza politica e da un’adesione supina alla linea statunitense, in particolare quella promossa dal fronte trumpiano a cui Meloni guarda in cerca di stampelle.
Definire “controproducente” il riconoscimento dello Stato di Palestina proprio mentre si consuma una tragedia umanitaria senza precedenti a Gaza e mentre esponenti di primo piano del governo israeliano parlano apertamente di pulizia etnica, di “liberare Gaza dal male” e di annettere la Cisgiordania, suona non solo come una fuga dalla responsabilità, ma anche come una pericolosa legittimazione dello status quo.
In realtà, il riconoscimento dello Stato palestinese — già attuato da oltre 140 Paesi nel mondo, inclusi molti membri dell’Unione Europea — non è un premio simbolico, ma un atto politico e giuridico che ribadisce il diritto di un popolo a esistere. Dire che non si può riconoscere ciò che “non esiste” significa ignorare che la Palestina esiste eccome: esistono il suo popolo, la sua storia, le sue istituzioni e soprattutto il suo diritto a vivere in pace e libertà.
L’argomento secondo cui il riconoscimento “rischia di far sembrare risolto un problema che non lo è” è logicamente fallace. Nessuno pensa che basti un riconoscimento formale per chiudere il conflitto israelo-palestinese, ma è altrettanto chiaro che senza giustizia e parità di diritti, nessuna pace sarà mai possibile. E proprio per questo, in un momento in cui Gaza è sotto le macerie e la Cisgiordania è sotto assedio, riconoscere lo Stato di Palestina è un atto minimo di dignità internazionale.
Meloni, nel rifiutarsi di fare questo passo, non si limita a essere prudente: si allinea consapevolmente alla destra israeliana e ai suoi protettori statunitensi, evitando con cura ogni mossa che possa dispiacere a Washington — soprattutto a quella parte del Partito Repubblicano che considera Netanyahu un baluardo dell’Occidente e ogni critica a Israele una bestemmia geopolitica.
In definitiva, più che una posizione di equilibrio, quella della premier italiana appare una dichiarazione di sudditanza. E l’Italia, che fu tra i primi Paesi europei a promuovere il dialogo israelo-palestinese e a riconoscere il diritto dei due popoli a vivere fianco a fianco, oggi si ritira dal campo, avvolta in argomentazioni tanto deboli quanto cinicamente funzionali alla propria agenda ideologica.
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