Caso Almasri: il Tribunale dei ministri chiede l’autorizzazione a procedere per la fuga di stato
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Caso Almasri: il Tribunale dei ministri chiede l’autorizzazione a procedere per la fuga di stato

Il Tribunale dei ministri ha avanzato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del ministro della Giustizia Carlo Nordio per il caso Almasri

Caso Almasri: il Tribunale dei ministri chiede l’autorizzazione a procedere per la fuga di stato
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6 Agosto 2025 - 20.20


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Il Tribunale dei ministri ha avanzato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del ministro della Giustizia Carlo Nordio per il caso Almasri, il generale libico accusato di crimini contro l’umanità.

I tre esponenti del governo sono accusati di concorso in favoreggiamento personale aggravato; Mantovano e Piantedosi anche di peculato aggravato, mentre a Nordio viene contestato il rifiuto di atti d’ufficio aggravato. Nelle 90 pagine depositate, i giudici ricostruiscono cronologicamente la vicenda: dalla richiesta di arresto della Corte penale internazionale alla scandalosa liberazione e al rimpatrio a Tripoli di Almasri, avvenuto con un volo di Stato italiano. Una scelta politica, sì, ma con conseguenze penali gravi e precise, che il Tribunale ha avuto il coraggio di contestare.

A darne notizia è Devis Dori, presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, che precisa:
“Sia la Giunta che l’Aula esprimeranno tre voti distinti, con voto palese in Giunta e segreto in Aula, la quale voterà definitivamente entro ottobre”, annunciando anche che i diretti interessati “saranno invitati a fornire i loro chiarimenti”.

La posizione della premier Giorgia Meloni, invece, è stata archiviata. Ma le sue parole pubbliche mostrano un’insofferenza preoccupante verso l’operato dei giudici:
“È una tesi palesemente assurda. A differenza di qualche mio predecessore che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro. Nel merito ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero esecutivo – ha proseguito – che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”.

Dichiarazioni che non sono passate inosservate, tanto da spingere i legali delle vittime a reagire. L’avvocata Angela Maria Bitonti, legale di una donna ivoriana vittima delle torture del generale libico, ha annunciato:
“Presenteremo un esposto alla Procura di Roma”, sottolineando che le parole di Meloni sono una conferma della sua piena responsabilità politica e, forse, anche penale:
“Giorgia Meloni ha detto di aver condiviso le decisioni”.

L’avvocata contesta inoltre l’archiviazione sulla base della definizione della sua assistita come vittima “indiretta”:
“Non condividiamo questa visione, riteniamo sia una vittima diretta perché il rimpatrio di Almasri e la mancata consegna alla Corte penale internazionale non consente il processo. Significa aver impedito alle vittime di crimini così atroci di ottenere giustizia”.

Sul fronte delle vittime, prende la parola anche Lam Magok Biel Ruei, il migrante che ha denunciato il governo italiano per favoreggiamento. Il suo avvocato, Francesco Romeo, rilancia:
“Un’archiviazione non è un provvedimento definitivo, può sempre essere rimessa in discussione se intervengono elementi di novità, e le parole di ieri con cui Meloni ha rivendicato una scelta concordata con i ministri del suo governo giuridicamente sono una confessione”.

Romeo sottolinea che “ci sono reati che sono perseguibili d’ufficio”, e che le parole della premier potrebbero spingere la Procura di Roma a riaprire l’indagine anche nei suoi confronti:
“Non sarà sufficiente evocare l’atto politico per salvarsi dall’azione penale, anche perché in questo senso c’è una sentenza della Corte Costituzionale”.

In un Paese dove spesso la politica cerca di farsi scudo dietro la propria funzione, il lavoro del Tribunale dei ministri rappresenta un esempio di indipendenza e di rigore. L’auspicio è che il Parlamento non si trasformi ancora una volta in un rifugio per l’impunità, ma lasci spazio alla giustizia.

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