Ha suscitato un’ondata di polemiche in Italia l’ennesima scivolata di Giorgia Meloni nei confronti della stampa. Durante un incontro con il presidente statunitense Donald Trump e altri leader europei, dedicato alla pace in Ucraina, la premier italiana si è lasciata andare a un commento che fotografa con chiarezza il suo rapporto con l’informazione: «Io non voglio mai parlare con la stampa italiana»..
Le parole, catturate in un momento apparentemente informale e diffuse da diverse testate, tra cui La Stampa e il Daily Mail, hanno messo in luce ancora una volta l’avversione della leader di Fratelli d’Italia verso i giornalisti. La battuta è nata quando Stubb ha osservato con sorpresa la decisione di Trump di aprire il summit ai media. Meloni, con leggerezza che sa di arroganza, ha replicato: «A lui piace, gli piace sempre. Io invece non voglio mai parlare con la stampa italiana».
Non si è trattato di una svista. Poco dopo, durante la conferenza stampa ufficiale, quando Trump ha chiesto se i leader fossero disposti a rispondere alle domande, Meloni ha sussurrato: «Meglio di no, siamo troppi e andremmo troppo lunghi». Una chiusura netta, che conferma la sua linea: ridurre al minimo ogni occasione di confronto, rifugiandosi nei monologhi preparati dai suoi uffici e nelle veline diffuse attraverso i canali social.
Le opposizioni hanno attaccato duramente. Carlo Calenda, leader di Azione, ha parlato di «pessima figura», ricordando che «un leader democratico non teme le domande dei giornalisti». Riccardo Magi di +Europa ha denunciato un «palese disprezzo per la libertà di informazione». Silvia Fregolent, senatrice di Italia Viva, ha accusato la premier di «scappare dal confronto con i cittadini». Ancora più dura la Fnsi: la segretaria Alessandra Costante ha stigmatizzato la «mancanza di rispetto verso i giornalisti» e il rifiuto sistematico del contraddittorio.
Non è un caso isolato: Meloni, da quando è a Palazzo Chigi, ha organizzato pochissime conferenze stampa, evitando accuratamente interviste non pilotate. Preferisce parlare a reti unificate attraverso i social, dove nessuno può incalzarla con domande scomode. Un atteggiamento che la accomuna a molti leader sovranisti, insofferenti verso chi esercita il diritto di critica e pronti invece a pretendere che la stampa amplifichi senza fiatare i loro comunicati e le loro versioni dei fatti.
Questo fuori onda non è solo una battuta infelice: è la conferma di un metodo. Un governo che rifugge la trasparenza, che considera i giornalisti un ostacolo anziché un interlocutore indispensabile, mina le basi stesse della democrazia.
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