Quando Mosca ha invaso l’Ucraina, la reazione fu immediata: esclusione della Russia dalle competizioni, squadre bandite, bandiera cancellata dagli stadi. Lo sport, ci dissero, non poteva restare neutrale di fronte a una guerra in aperta violazione del diritto internazionale.
Oggi, davanti a Gaza devastata dai bombardamenti israeliani, con migliaia di vittime civili e ospedali rasi al suolo, la stessa coerenza sparisce. Israele resta in campo, anzi giocherà contro l’Italia a Udine il 14 ottobre. La Fifa tace, la Federcalcio tace, il governo italiano accetta senza fiatare.
Eppure non parliamo di semplici “operazioni militari”, ma di attacchi denunciati da Nazioni Unite e Ong come violazioni sistematiche del diritto internazionale umanitario: uso sproporzionato della forza, punizioni collettive, distruzione di infrastrutture civili, ostacoli agli aiuti. Se questo non basta a fermare un match, allora a cosa servono i principi che lo sport ama sbandierare?
Il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, ha chiesto il rinvio della partita: “Fermiamoci, giocare ora è inopportuno”. Ha ragione. Non è questione di politica locale, ma di dignità internazionale. Perché aprire lo stadio Friuli a una nazionale guidata da un governo che calpesta ogni giorno le Convenzioni di Ginevra significa rendersi complici.
Putin no, Netanyahu sì: questa è la doppia morale. A seconda dell’aggressore, la Fifa cambia metro di giudizio. Per la Russia isolamento, per Israele applausi e fischio d’inizio. Così si sancisce che ci sono guerre che contano e guerre che non contano, vittime che meritano tutela e vittime che si possono ignorare.
Ma lo sport non può essere la foglia di fico di chi viola il diritto internazionale. Se l’Italia accetta di giocare, accetta anche di chiudere gli occhi davanti a Gaza. E questo, più che una partita, è una vergogna.