Giorgia Meloni la butta ancora sul vittimismo da operetta e dice di essere la più 'odiata' di tutti
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Giorgia Meloni la butta ancora sul vittimismo da operetta e dice di essere la più 'odiata' di tutti

Giorgia Meloni torna ad Ancona insieme agli alleati di governo, quasi un anno dopo l’ultima volta sullo stesso palco.

Giorgia Meloni la butta ancora sul vittimismo da operetta e dice di essere la più 'odiata' di tutti
Giorgia Meloni
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17 Settembre 2025 - 23.54


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Vittimismo a gogò, visto che gli argomenti mancano e l’urlatrice di un tempo d’un tratto dimentica quello che lei e i camerati del suo partito di estrema destra dicevano e facevano e, anzi, dicono e fanno.

Giorgia Meloni torna ad Ancona insieme agli alleati di governo, quasi un anno dopo l’ultima volta sullo stesso palco. Tutti uniti a sostegno di Francesco Acquaroli, il governatore marchigiano che punta alla riconferma il 28 e 29 settembre, primo banco di prova per le sette regioni al voto d’autunno.

Il centrodestra prova a compattarsi sulla giustizia, rivendicando una riforma costituzionale che la stessa premier presenta come una vittoria. Ma ciò che davvero accende Meloni non sono i contenuti di governo, bensì il suo ormai consueto ritornello: quello del vittimismo personale. Con convinzione, afferma: “Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola”.

Un’affermazione che stride con la realtà di un dibattito politico in cui la presidente del Consiglio non smette di accusare gli altri di fomentare odio, salvo poi alzare i toni ogni volta che le conviene. Alla leader del Pd, che le aveva chiesto di andare in Aula a elencare gli attacchi subiti dal centrodestra, replica chiamandola per nome: “Guarda Elly, se vuoi che te li faccio ci mettiamo mezza giornata”. Ma l’impressione è che il racconto dell’odio sia diventato per Meloni un paravento per mascherare la mancanza di risposte concrete al Paese.

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Intanto Elly Schlein, a Pesaro per sostenere Matteo Ricci, ribalta il confronto sul terreno sociale, quello che più mette in difficoltà il governo. Denuncia: “Ci vuole del coraggio a non fare il salario minimo con 4 milioni di persone in difficoltà. Meloni si vergogni”. E rilancia: “La batteremo alle prossime elezioni e la prima cosa che faremo sarà il salario minimo perché sotto i 9 euro è sfruttamento”. Parole nette, a cui aggiunge la stoccata al vicepremier Tajani: “Bisogna dirgli che in Germania lo ha approvato la Merkel che è nel suo partito”.

La distanza è evidente: da un lato Meloni che continua a raccontarsi vittima di un odio immaginario, dall’altro l’opposizione che mette al centro salari e diritti.

Neppure Giuseppe Conte risparmia la premier: di fronte al suo sarcasmo su “Conte Mascetti”, la replica è tagliente: “Giorgia, di te sarebbe fiera Vanna Marchi”.

Sul palco del centrodestra, invece, poche idee e molta retorica. Maurizio Lupi si limita a ribadire che “ci vuole un salario giusto”, senza dare risposte. Tajani ripete il mantra della difesa del ceto medio. Salvini, invece, si rifugia in gesti simbolici e nostalgia americana, arrivando perfino a chiedere un minuto di silenzio per l’influencer conservatore Charlie Kirk.

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Meloni, in chiusura, torna sull’odio politico con un nuovo esempio: “Oggi un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, ha detto alla capogruppo di FdI: ‘Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta’”. Ma ancora una volta la denuncia del clima politico è usata come arma retorica, non come reale invito al confronto democratico.

Nemmeno sul Medio Oriente la premier appare credibile. Dopo mesi di allineamento alle posizioni di Donald Trump e dei falchi israeliani, prova un colpo di teatro dicendo: “La reazione di Israele è decisamente sproporzionata, un quadro che non può che peggiorare con l’occupazione di Gaza City, una scelta che l’Italia non può condividere”. Parole che appaiono tardive e contraddittorie, difficili da conciliare con la genuflessione diplomatica mostrata fino ad ora.

Tajani corre subito a precisare: “Noi non c’entriamo niente con il genocidio e con quello che sta succedendo a Gaza, non abbiamo alcuna responsabilità”. Un tentativo maldestro di smarcarsi che, invece, conferma la debolezza di una politica estera tutta subalterna agli equilibri atlantici.

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Dall’opposizione, la risposta è diretta: Schlein incalza Netanyahu e afferma: “Bisogna fermare i crimini di Netanyahu. Pieno supporto alla Global Sumud Flotilla”.

La serata di Ancona restituisce l’immagine di una premier più attenta a coltivare il mito del suo vittimismo che a dare risposte al Paese. Meloni continua a presentarsi come la più odiata, ma in realtà appare sempre più isolata, prigioniera di una retorica che non regge alla prova dei fatti.

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