La commissione Juri del Parlamento europeo ha mostrato una certa umanità nel dare parere negativo all’istanza di revoca dell’immunità parlamentare avanzata dall’Ungheria nei confronti di Ilaria Salis. Il voto in aula si terrà verosimilmente il prossimo 7 ottobre.
Intanto, il governo di Orban ha giurato vendetta alla nostra concittadina, definendola “terrorista”. Quanto alle accuse, tutte da provare, in Ungheria potrebbero costarle oltre vent’anni di carcere (per di più in un regime che assomiglia a quello previsto dal 41bis). C’è quindi da immaginare che, semmai fosse revocata l’immunità, Budapest non le garantirebbe un giusto processo, né tantomeno il rispetto dei diritti umani.
Il che, nel civile e democratico occidente, dovrebbe essere sufficiente per respingere la richiesta.
In Italia il ministro degli Esteri Antonio Tajani è stato piuttosto rassicurante circa i voti dei deputati di Forza Italia, mentre da Fratelli d’Italia si sono levate voci dissonanti. «Credo che la Salis se ha fatto le sue scelte con coraggio debba rinunciare all’immunità parlamentare – ha detto Giovanni Donzelli, deputato e responsabile dell’organizzazione nazionale del partito di Giorgia Meloni – Se non vi rinuncia, il Parlamento deve votare per la rinuncia all’immunità parlamentare».
Affermazioni disumane e sommamente ipocrite, vista la strenua difesa in cui Fratelli d’Italia si sta prodigando da mesi in favore della senatrice nonché ministra del turismo Daniela Santanché, imputata per false comunicazioni sociali in merito al crac della società editrice Visibilia, nonché indagata per il reato di bancarotta nell’ambito del fallimento della Ki Group, azienda di distribuzione alimentare.
Insomma, secondo l’illuminato Donzelli, Salis dovrebbe addirittura rinunciare all’immunità, mentre Santanché può serenamente rivolgersi – come ha fatto – alla Giunta per le autorizzazioni del Senato, chiedendo di valutare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale nei confronti della Procura di Milano, allo scopo di rendere inutilizzabili le prove raccolte senza l’autorizzazione del Parlamento (chat, mail, registrazioni fatte a sua insaputa da un dipendente…). E naturalmente non deve neppure dimettersi dalla carica di ministro della repubblica, essendo innocente fino a eventuale sentenza definitiva. Tutto torna.
Come certamente saprà perfino Donzelli, lo stato di diritto, collante politico dell’Europa, è fondato sull’habeas corpus, sulle garanzie giuridiche, sull’onere della prova, sulla presunzione d’innocenza. Ciò che parrebbe sfuggirgli, invece, è che si tratta di principi validi universalmente, non a seconda dell’appartenenza politica dell’imputato.
Allora, lasciando da parte i raffinati cultori della giurisdizione che popolano Fratelli d’Italia, c’è da augurarsi che il parlamento segua le indicazioni della commissione e difenda lo stato di diritto.
A Donzelli converrà regalare un manuale di storia dell’Illuminismo. O anche semplicemente una copia della costituzione italiana.
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