Ricci: piaccia o meno gli elettori M5s non vanno a votare se il candidato non li convince del tutto
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Ricci: piaccia o meno gli elettori M5s non vanno a votare se il candidato non li convince del tutto

Innanzitutto, che l’elettorato del M5S non è a buon mercato. Per chi fra i dirigenti non lo avesse ancora capito, per il popolo pentastellato le alleanze sono digeribili solo se i candidati sono votabili.

Ricci: piaccia o meno gli elettori M5s non vanno a votare se il candidato non li convince del tutto
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Giovanna Musilli Modifica articolo

30 Settembre 2025 - 13.04


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Se il cosiddetto “campo largo” non si ristruttura immediatamente, rischia di rimanere molto stretto, da qui agli anni a venire. Dalla sonora sconfitta di Matteo Ricci contro il meloniano di ferro Francesco Acquaroli, governatore uscente delle Marche, c’è molto da imparare. 

Innanzitutto, che l’elettorato del M5S non è a buon mercato. Per chi fra i dirigenti non lo avesse ancora capito, per il popolo pentastellato le alleanze sono digeribili solo se i candidati sono votabili. Altrimenti si resta a casa e l’astensione cresce.

Gli elettori 5S sono mediamente intransigenti e poco inclini a compromessi. Se il candidato è qualcuno che ritengono serio, capace e onesto, va bene. Ma se devono votare un renziano con beghe giudiziarie in corso come Ricci, allora no. 

Il punto è che per un elettore ancora disponibile a votare il M5S dopo aver dovuto digerire la disgraziata partecipazione del movimento al governo Draghi, non è più tempo di perseguire quel criterio che ha dominato la politica italiana per decenni, sintetizzabile nell’espressione “voto al meno peggio”. 

Ora ci sono molte persone che non sono più disposte a farlo proprio, che se devono votare il “meno peggio”, preferiscono astenersi e lasciar fare agli altri, che ritengono il loro voto una delega importante, da non svendere. 

Si condivida o meno, non è il caso di ingaggiare una battaglia contro gli elettori, altrimenti si è destinati alla sconfitta eterna. 

Sarebbe bene, invece, che M5S, PD e AVS proponessero candidati più simili alla Salis che a Ricci, auspicabilmente privi di trascorsi renziani, che non siano stati sfiorati da inchieste, e che non facciano campagna elettorale rivendicando la bontà del libero mercato contro la destra sedicente sociale. 

A questo proposito, di fronte alla destra più turbo-liberista di sempre, sarebbe convenuto a Ricci puntare sulla sanità e la scuola pubblica, sul welfare e sui diritti sociali, più che sul libero mercato. 

Peraltro, a parità di prospettiva socio-economica, è sulla mobilitazione ideologica che si giocano i voti. E anche su quella, Ricci era debole. 

Per quanto difficile da credere, milioni di persone si mobilitano di fronte a parole d’ordine quali la lotta contro l’immigrazione e in generale contro le minoranze, il fanatismo cattolico (di facciata, s’intende) e il nazionalismo. Dio, patria e famiglia – in un paese in cui una persona su tre fatica a comprendere un testo scritto superiore a poche righe – portano moltissimi voti. Lo sa bene la premier Giorgia Meloni che si è prontamente spesa in favore di Acquaroli. 

Se dall’altra parte c’è un Ricci che cinguetta sul liberismo e – nei momenti di maggior sfrenatezza – sul riconoscimento dello stato di Palestina da parte della regione Marche, c’è poca speranza di vincere.

Insomma, si consiglia vivamente al Campo largo di dotarsi al più presto di un indirizzo programmatico valido e condiviso, capace di opporre alla destra una visione di società e di mondo radicalmente diversa, equa, solidale, onesta. Dopodiché, conviene anche evitare commistioni con compagini politiche incompatibili con i suddetti valori, come Italia Viva, e infine bisogna scegliere candidati adeguati, competenti, e magari minimamente carismatici. 

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