“Vorrei fare un invito, alla presidente del Consiglio e al Governo, ad abbassare i toni”. È un appello fermo ma misurato quello lanciato da Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, a margine del congresso nazionale di Area Democratica per la Giustizia, in corso a Genova. Un richiamo al senso delle istituzioni dopo l’ennesimo scivolone verbale di Giorgia Meloni, che venerdì sera – dal palco di piazza San Lorenzo a Firenze – ha paragonato la sinistra italiana ad Hamas, accusandola di essere “più fondamentalista” e di “non essere riuscita a gioire per la tregua” a Gaza.
Un attacco che ha destato sconcerto e indignazione. “Non si è mai sentito, in una democrazia, che la presidente del Consiglio desse dei terroristi alle opposizioni – ha dichiarato Schlein –. Invito veramente tutti ad abbassare i toni e ad affrontare invece con spirito costruttivo la discussione sulla manovra, perché non ci sono misure che possano far riprendere la nostra economia”.
Ma al di là della polemica del giorno, il problema è più profondo. Giorgia Meloni sembra aver imboccato una brutta china: si dice vittima dell’odio, lamenta la violenza verbale degli avversari, e poi è la prima a usare un linguaggio incendiario, delegittimando chi non la pensa come lei. È la vecchia tattica della propaganda: costruire un nemico, alimentare la tensione, spostare lo sguardo dai problemi reali.
Perché la verità è che, mentre a Gaza i palestinesi morivano a grappoli sotto le bombe israeliane, il governo italiano non ha mosso un dito. Nessuna parola di condanna per i massacri, nessuna iniziativa diplomatica, nessuna richiesta di cessate il fuoco. Anzi: all’ONU, l’Italia guidata da Meloni si è astenuta sulla risoluzione per la tregua umanitaria, allineandosi di fatto alla linea più ambigua e attendista dell’Unione europea.
E ora, invece di fare autocritica per questa scelta, Meloni preferisce accusare la sinistra di “stare con Hamas”. È un modo per nascondere la propria inconsistenza politica e diplomatica, e per cercare di recuperare consenso interno con un linguaggio da campagna elettorale permanente.
Le parole di Elly Schlein, in questo contesto, suonano come un invito al ritorno alla normalità democratica: meno slogan, più politica. Ma il sospetto è che la premier non abbia alcuna intenzione di abbassare i toni. Perché le serve che il Paese resti diviso, impaurito, arrabbiato. È la materia prima su cui costruisce la sua leadership.