Dopo mesi di pieno allineamento con la linea di Benjamin Netanyahu e un silenzio assordante di fronte alla devastazione di Gaza, Giorgia Meloni tenta ora di presentarsi come mediatrice di pace. Nel suo intervento al Senato, in vista del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio ha affermato che sul percorso per portare la pace in Medio Oriente il governo italiano deve “ancora definire i dettagli del nostro contributo”. Una dichiarazione che arriva tardi, e che suona come un tentativo di riposizionamento politico dopo un anno trascorso a difendere le ragioni di Israele in ogni sede internazionale.
Meloni ha aggiunto di ritenere “opportuno un passaggio parlamentare” e di essere “certa che trattandosi di contribuire alla pace tutte le forze non mancheranno di dare il loro contributo”. Parole concilianti che contrastano con la rigidità mostrata finora da Palazzo Chigi, dove la solidarietà al governo israeliano non è mai venuta meno, neppure di fronte ai bombardamenti sui civili e agli appelli delle Nazioni Unite.
Sul riconoscimento dello Stato di Palestina, la premier ha detto: “Pronti a dire sì con le giuste condizioni e Hamas fuori”. Ma anche in questo caso le condizioni poste da Meloni — disarmo di Hamas e sua esclusione dalla governance — sembrano più un modo per rinviare indefinitamente la decisione, che non un reale passo verso il riconoscimento di uno Stato palestinese sovrano.
Nel rivendicare l’azione del suo governo, Meloni è arrivata a sostenere che lo “sforzo” dell’Italia per Gaza sarebbe stato “l’unico tra le nazioni occidentali a fare giustizia delle troppe polemiche e menzogne ascoltate in questi mesi”. E ha aggiunto: “Sono orgogliosa di rappresentare una nazione in cui la maggioranza dei cittadini sa ancora distinguere fra il cinismo sbandierato a favore di telecamere e la solidarietà vera e silenziosa”. Ma la realtà, osservano molti analisti, è che l’Italia ha scelto un profilo basso, evitando prese di posizione nette anche di fronte alle stragi di civili, e continuando a fornire supporto politico e diplomatico a Israele.
Sul fronte della sicurezza, Meloni ha annunciato che “siamo pronti a partecipare a una eventuale Forza internazionale di stabilizzazione e a continuare a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle sue forze di polizia e nel rafforzamento delle loro capacità operative”. Parole che riflettono la volontà di Roma di mantenere un ruolo nella partita mediorientale, ma sempre entro i limiti fissati dagli alleati occidentali e, di fatto, senza mai mettere in discussione l’impunità di Tel Aviv.
“Ci troviamo di fronte a una prospettiva credibile verso una pace giusta e duratura in Medioriente”, ha detto infine Meloni, pur ammettendo che “le vicende delle ultime ore dimostrano quanto l’equilibrio sia fragile”. La premier ha denunciato la violazione della tregua da parte di Hamas — “dimostra ancora una volta chi sia il principale nemico dei palestinesi” — ma ha aggiunto che “la conseguente rappresaglia israeliana rappresenta un’altra scelta che non condividiamo”.
Una condanna tardiva, che arriva dopo mesi in cui il governo italiano ha difeso senza esitazioni l’operato di Netanyahu, e che ora, con il vento internazionale che cambia, tenta di dare a Meloni il volto della moderata e della mediatrice. Ma dietro le parole sulla “pace giusta e duratura” resta intatta la linea di fondo: l’Italia non rompe con Israele, si limita ad attenuarne le ombre quando la pressione internazionale diventa troppo forte per essere ignorata.
Ps: visto che molti analfabeti funzionali non distinguono il significato letterale da quello figurato delle parole, a scanso di equivoci in questo caso l’espressione va letta in senso figurato, ossia qualcuno che attraverso una serie di azioni cerca di far dimenticare il passato per poi fare l’innocentino
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