Ha ragione Elly Schlein: dove governa l’estrema destra, la libertà di stampa è a rischio. E non solo quella. Lo sono anche le libertà civili, il pluralismo, e la democrazia.
Le destre estreme, di tutto il mondo, sono pervase da pulsioni illiberali.
Anche la destra di Giorgia Meloni non tollera il dissenso: sono tre anni che la presidente del consiglio si sottrae alle domande (quelle vere) dei giornalisti, e che la maggior parte dei giornali in circolazione non fa che tessere le lodi del governo.
E non parliamo della Rai, che in Italia non è mai stata una televisione realmente “pubblica”. Nel caso di questa destra, però, si aggiungono anche le reti Mediaset che sono azioniste del governo. Se non come ai tempi di Berlusconi, poco ci manca. Raramente vediamo Meloni ingaggiarsi in conferenze stampa e, quando lo fa, trova sempre il modo di aggirare le domande che la infastidiscono. In genere, adduce mancanza di tempo, impegni improrogabili, fretta indiavolata.
Siamo perfino arrivati al limite del ridicolo quando Il Sole 24 ore, un sabato di sciopero, ha comunque pubblicato il giornale – in violazione ai diritti sindacali – e per di più con un’intervista alla premier a tutta pagina (e poco altro). Tanto da suscitare la pubblica riprovazione dei dipendenti.
Non è un caso che, secondo la classifica sulla libertà di stampa del 2025 stilata da Reporter senza frontiere, l’Italia scenda dal 46° al 49° posto, il peggior posizionamento italiano fra gli stati dell’Europa occidentale.
La destra meloniana è allergica alla critica e alla libera manifestazione del pensiero, perché affonda le sue radici culturali nella tradizione missina, cioè in un’ispirazione ideologica di stampo neofascista.
Si pensi al decreto sicurezza che, fra le altre cose, ha trasformato in reato penale i blocchi stradali e che prevede la reclusione fino a due anni per gli ecoattivisti, o alla cosiddetta riforma della giustizia chiaramente finalizzata a sottoporre la magistratura sotto il controllo del governo. Per non parlare della “madre di tutte le riforme”, il premierato, che sbilancia i poteri dello stato sull’esecutivo, violando i pesi e i contrappesi costituzionali.
Il senso unitario delle azioni di questa destra è la concentrazione dei poteri sul governo (a scapito del parlamento, della magistratura e di tutti gli altri poteri di controllo), la mortificazione del dissenso (compreso quello pacifico), il quasi monopolio dell’informazione, con annessa criminalizzazione dei pochi spazi critici ancora rimasti.
Giorgia Meloni in persona non ha esitato ad additare pubblicamente singoli intellettuali – su tutti Roberto Saviano – accusati di guadagnare soldi sul cattivo nome della patria (come se bastasse non parlare della camorra, per farla estinguere).
È per questo che oggi le manifestazioni di solidarietà a Sigfrido Ranucci da parte di esponenti della maggioranza appaiono quanto meno ipocrite. Report è stata una trasmissione detestata dalla maggior parte dei politici da sempre, e di certo la destra di Meloni&co non ha fatto eccezione.
Chi può dimenticare la penosa scena di Maurizio Gasparri che, in commissione vigilanza Rai, porge a Ranucci una carota e del cognac “per farsi coraggio” rispetto alle decisioni della commissione.
Insomma, è ora di guardare le cose per come sono: la democrazia italiana sta vacillando, mentre le opposizioni cinguettano e l’opinione pubblica sonnecchia.