Il tweet con cui Bruno Vespa si è scagliato contro Jannik Sinner, colpevole addirittura di non partecipare alla coppa Davis, ha un sapore amaro. Innanzitutto, perché pieno di astio verso un ragazzo di vent’anni che gioca a tennis e che deve rendere conto solo a se stesso.
Ma soprattutto, perché intriso di un nazionalismo insensato e decisamente fuori luogo. A Sinner, Vespa rimprovera di essere altoatesino, di vivere a Montecarlo (lasciando intuire un’implicita propensione all’elusione del fisco), e di aver deciso di non giocare la coppa Davis, mostrando così uno scarso senso della patria.
Siamo ai limiti del grottesco: secondo Vespa, Sinner dovrebbe vivere in Italia, parlare bene l’italiano, e partecipare alla coppa Davis. Questo ne certificherebbe il patriottismo. Il richiamo all’“onore” da attribuire ad Alvarez – alias Carlos Alcaraz, ma Vespa si può permettere di trascurare i dettagli – perché (quest’anno) giocherà la coppa Davis, appare davvero un abuso linguistico, in spregio al senso del ridicolo.
D’altra parte, essendo nato in Alto Adige, Sinner parla il tedesco come prima lingua (allo stesso modo di tutta la popolazione dell’Alto Adige), ha scelto di vivere a Montecarlo (probabilmente per motivi fiscali, ma non è un reato), e decide liberamente a quali competizioni prendere parte. Dunque, è cattivo, e forse anche un po’ antitaliano. Senza ricordare che, comunque, grazie a lui, l’Italia ha già vinto due coppe Davis negli ultimi anni e che campioni del passato come Federer e Nadal non si sono mai troppo prodigati per la coppa Davis, senza che nessuno li accusasse di tradimento alla Nazione.
Peraltro, Vespa non ha mostrato il medesimo attaccamento alla patria quando, nel suo programma, ha pubblicamente maltrattato gli attivisti italiani della Flottilla che tentavano di consegnare aiuti umanitari a Gaza. E con tutto il rispetto per Sinner, quelli sì che portavano lustro alla patria.
Né – a memoria – lo si ricorda aver mai rimbrottato Silvio Berlusconi per quella quisquilia della condanna definitiva per frode fiscale, cioè per aver truffato il fisco del paese di cui era stato presidente del consiglio e uomo politico di primo piano per almeno quindici anni. Tantomeno ha mai chiesto alla presidente del consiglio Giorgia Meloni come mai il suo governo non abbia messo in cantiere una riforma del fisco che faccia pagare le tasse a tutti, riforma che segnalerebbe un sincero amore per la patria.
Probabilmente, a breve, chiederà conto del patriottismo della ministra del Turismo Daniela Santanché, incalzandola sull’accusa di aver usufruito per le sue aziende della Cassa Covid, pur costringendo i dipendenti a lavorare. O più banalmente di quello del nostro ministro preferito, quello dell’agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che ne ha dette talmente tante, da far impallidire un gaffeur di professione.
Insomma, il timore è che Vespa sia impegnato a perseguire intenzionalmente la strategia delineata da Noam Chomsky per evitare che i cittadini siano informati sulle cose importanti – ad esempio una legge di bilancio striminzita che non tasserà nemmeno gli extraprofitti bancari – favorendo la distrazione di massa. Indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su nemici inesistenti, polemiche sterili, e problemi irrilevanti, contribuisce ad allontanarla dalle questioni serie, quelle che coinvolgono la vita delle persone e la tenuta socio-economica di un paese.
Perciò, stia sereno Sinner, nessuno ha il diritto di attribuire patenti di patriottismo a nessuno. Ammesso che il patriottismo sia un valore. Ma questa è un’altra storia.