Arriva un nuovo stop tecnico – e politico – alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. La Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità alla delibera Cipess n. 41/2025, che approvava il progetto definitivo e l’assegnazione dei fondi del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione. La decisione è stata assunta dalla Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, dopo l’adunanza del 29 ottobre.
Si tratta di un passaggio formale ma decisivo: senza il visto della Corte, l’atto non può procedere. Le motivazioni del diniego saranno rese note entro 30 giorni.
Meloni attacca i giudici contabili: “Ennesimo atto di invasione”
La premier Giorgia Meloni ha reagito con la consueta aggressività contro le istituzioni di garanzia.
“La mancata registrazione da parte della Corte dei Conti della delibera Cipess riguardante il Ponte sullo Stretto è l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento. Sul piano tecnico, i ministeri interessati e la Presidenza del Consiglio hanno fornito puntuale risposta a tutti i rilievi formulati per l’adunanza di oggi; per avere un’idea della capziosità, una delle censure ha riguardato l’avvenuta trasmissione di atti voluminosi con link, come se i giudici contabili ignorassero l’esistenza dei computer”, dichiara la presidente del Consiglio.
Ancora una volta, la premier non sopporta che un’autorità indipendente eserciti il proprio ruolo di controllo. Invece di rispettare la separazione dei poteri, pilastro di ogni democrazia, Meloni parla di “invasione”, come se il potere giudiziario dovesse limitarsi ad avallare le decisioni dell’esecutivo.
È la stessa logica che ha guidato altri scontri con la magistratura, la stampa libera e gli organi di vigilanza: la volontà di ridurre i contrappesi istituzionali a strumenti obbedienti del governo. Un modello di potere centralizzato, in cui ogni voce autonoma diventa “nemica”.
Salvini rincara: “Una scelta politica”
A fare eco alla premier è stato, prevedibilmente, Matteo Salvini, che ha definito la decisione dei giudici contabili un danno per l’Italia.
“La decisione della Corte dei Conti è un grave danno per il Paese e appare una scelta politica più che un sereno giudizio tecnico. In attesa delle motivazioni, chiarisco subito che non mi sono fermato quando dovevo difendere i confini e non mi fermerò ora, visto che parliamo di un progetto auspicato perfino dall’Europa che regalerà sviluppo e migliaia di posti di lavoro da sud a nord. Siamo determinati a percorrere tutte le strade possibili per far partire i lavori. Andiamo avanti”, ha dichiarato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture.
Anche in questo caso, il messaggio è chiaro: chi solleva obiezioni non esercita un controllo tecnico, ma si muove “politicamente” contro il governo. È la retorica classica dei populismi autoritari, che accusano ogni istituzione indipendente di essere un ostacolo alla “volontà del popolo” incarnata dal leader.
Un conflitto istituzionale che rivela il vero volto del potere
La vicenda del Ponte sullo Stretto si conferma non solo come un progetto ingegneristico controverso, ma anche come una cartina di tornasole del rapporto del governo con la legalità e i controlli democratici.
Invece di rispondere nel merito ai rilievi dei magistrati contabili – che hanno il compito di tutelare l’interesse pubblico e la correttezza degli atti – Meloni e Salvini scelgono lo scontro frontale, cercando di delegittimare la Corte dei Conti.
L’idea di fondo è sempre la stessa: sottomettere ogni potere a quello politico, eliminando progressivamente i contrappesi che impediscono derive autoritarie. Ma la democrazia – quella reale, non proclamata nei comizi – si fonda proprio sull’equilibrio tra poteri e sul rispetto delle istituzioni indipendenti.
Il Ponte può attendere. La democrazia no.
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