Riforma della giustizia, Meloni segue il modello Orbán: una magistratura meno libera e più controllata

Il governo Meloni incassa una vittoria politica sulla riforma della giustizia, ma il prezzo potrebbe essere altissimo per l’equilibrio democratico del Paese.

Riforma della giustizia, Meloni segue il modello Orbán: una magistratura meno libera e più controllata
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30 Ottobre 2025 - 13.46


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Il governo Meloni incassa una vittoria politica sulla riforma della giustizia, ma il prezzo potrebbe essere altissimo per l’equilibrio democratico del Paese. Con 112 voti favorevoli, il Senato ha approvato in via definitiva la legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Una riforma che la destra di governo ha presentato come “storica”, ma che per l’opposizione e per gran parte della magistratura rappresenta un colpo durissimo all’indipendenza della giustizia e un passo verso un modello di potere alla Orbán

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Il provvedimento, da anni cavallo di battaglia della destra, viene salutato da Giorgia Meloni come “una svolta di civiltà” e da Matteo Salvini come “una vittoria del popolo contro le toghe politicizzate”. Ma dietro la retorica trionfalista, le critiche si moltiplicano. Secondo giuristi e costituzionalisti, la riforma apre la strada a un sistema giudiziario in cui il potere politico potrà esercitare un’influenza più diretta sulle carriere e sulle scelte dei magistrati. Non è un caso che le proteste delle opposizioni siano esplose in aula al momento del voto, con urla di “vergogna” e cartelli che denunciavano “un attacco alla Costituzione”

La separazione delle carriere, nei fatti, toglie ai magistrati la possibilità di passare dal ruolo di pubblico ministero a quello di giudice, rompendo una tradizione che aveva sempre garantito una visione comune dell’amministrazione della giustizia. Secondo il governo, questa scelta serve a evitare conflitti di interessi e a rendere più “imparziali” i giudici. Ma per molti osservatori è un passo verso un modello in cui la procura, privata della sua autonomia, rischia di essere sottoposta al potere esecutivo. In altre parole, un PM meno libero di indagare e più esposto alle pressioni della politica. Un’impostazione che ricorda da vicino quella del premier ungherese Viktor Orbán, che negli anni ha trasformato la magistratura in un organo quasi subordinato al governo

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Le opposizioni, dal Partito Democratico al Movimento 5 Stelle fino ad Alleanza Verdi Sinistra, parlano di un tentativo deliberato di ridimensionare il potere giudiziario. “È un attacco diretto all’indipendenza della magistratura”, ha dichiarato Elly Schlein, mentre Giuseppe Conte ha accusato il governo di voler “controllare i giudici come controlla la televisione pubblica”. Dure anche le reazioni dell’Associazione Nazionale Magistrati, che definisce la riforma “una minaccia all’autonomia e alla separazione dei poteri garantita dalla Costituzione”

Ma il governo procede spedito, ignorando i richiami di Bruxelles e dell’opposizione interna. Meloni e Nordio, ministro della Giustizia, sostengono che questa riforma “restituisce fiducia ai cittadini” e “mette fine alle storture di un sistema autoreferenziale”. Una narrazione che nasconde, però, un disegno politico più ampio: depotenziare la magistratura e consolidare un potere esecutivo sempre più forte e sempre meno bilanciato da contropoteri reali. È la stessa logica illiberale che ha plasmato la giustizia ungherese, trasformando il controllo politico in normalità

Nel silenzio quasi generale dell’Europa, l’Italia compie un passo che segna una svolta nella sua storia repubblicana. Una svolta che rischia di riportare indietro di decenni il rapporto tra politica e giustizia, trasformando l’autonomia dei magistrati in un ricordo e la Costituzione in un ostacolo da aggirare. Mentre il governo brinda alla “riforma della libertà”, il Paese si ritrova più diviso e più fragile, con una giustizia meno indipendente e una democrazia sempre più somigliante a quella del modello Orbán.

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