L’Italia contro la Corte dell’Aja: Meloni vuole arrestare i trafficanti ma solo quando le fa comodo
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L’Italia contro la Corte dell’Aja: Meloni vuole arrestare i trafficanti ma solo quando le fa comodo

Meloni intende decidere caso per caso se eseguire o meno i mandati di arresto emessi dai giudici internazionali. Il caso Almasri sarà la norma

L’Italia contro la Corte dell’Aja: Meloni vuole arrestare i trafficanti ma solo quando le fa comodo
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1 Novembre 2025 - 19.39


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È un orrore giuridico e un segnale politico devastante: l’Italia, Paese fondatore della Corte penale internazionale, annuncia di voler “rivedere” le regole della cooperazione con L’Aja. In altre parole, il governo Meloni intende decidere caso per caso se eseguire o meno i mandati di arresto emessi dai giudici internazionali. Un passo indietro che indebolisce non solo la credibilità dello Stato di diritto, ma la stessa idea di giustizia universale.

Con un linguaggio burocratico e calcolato, l’esecutivo ha scritto ai giudici della camera preliminare della Corte penale internazionale che l’Italia intende “rispettare gli obblighi internazionali” ma nel quadro degli interessi di sicurezza nazionale, “nonché della posizione geopolitica del nostro Paese e della legislazione costituzionale e interna”.

Dietro questa formula apparentemente innocua si nasconde una svolta pericolosa: significa che Roma non garantirà più automaticamente la cooperazione giudiziaria con la Corte, ma valuterà se ciò sia compatibile con la propria “posizione geopolitica”. È un modo elegante per dire che gli obblighi internazionali valgono solo quando non danno fastidio.

Un messaggio che va ben oltre il caso Almasri — il cittadino palestinese arrestato in Italia e consegnato all’Egitto nonostante un mandato di cattura internazionale. È una dichiarazione di autonomia che di fatto azzoppa la Corte dell’Aja, introduce la logica della convenienza nella giustizia internazionale e apre la porta all’arbitrio politico.

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Siamo di fronte a una concezione trumpiana dei rapporti internazionali, che rifiuta il principio di legalità universale in nome della “sovranità nazionale”. È lo stesso schema che Donald Trump e Benjamin Netanyahu hanno usato per screditare la Corte penale internazionale, accusandola di “interferire” nelle questioni interne. Oggi quella stessa retorica attecchisce a Roma, nel cuore dell’Europa.

È una contraddizione clamorosa per un governo che si proclama “patriota” e “difensore dell’Occidente”: l’Occidente democratico è nato proprio dal principio opposto, quello di una giustizia che vale per tutti, dai criminali comuni ai capi di Stato. Screditare la Corte dell’Aja significa indebolire l’idea stessa che la legge possa fermare la violenza del potere.

Invece di rafforzare la cooperazione con la CPI, l’Italia sembra volerla neutralizzare. È un segnale grave, che trasmette al mondo un messaggio preciso: le regole valgono finché non toccano i nostri interessi, e chi è potente potrà sempre contare su uno scudo politico. In questo modo il governo Meloni non difende la sovranità, ma smantella la credibilità internazionale del Paese.

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La lettera del governo, inviata ai giudici dell’Aja dopo le polemiche sul caso Almasri, afferma che la revisione della cooperazione con la Corte punta a conciliare l’adesione allo Statuto di Roma con gli “interessi di sicurezza nazionale”, e che “tale consapevolezza non può che avere un impatto positivo sul processo di revisione delle modalità di funzionamento del sistema e, in ultima analisi, sulle future richieste di cooperazione”.

La comunicazione arriva a pochi giorni dalla decisione del Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, coinvolti nella vicenda Almasri. Sul punto, l’esecutivo ha ribadito che “contro la decisione del Parlamento” la magistratura “ha il potere di sollevare la questione del conflitto di attribuzione di poteri dello Stato dinanzi alla Corte Costituzionale”. E ancora: “la questione può essere sollevata senza alcun termine prefissato da rispettare. La Corte Costituzionale ha giudicato ammissibili in diverse occasioni ricorsi analoghi”.

Nel frattempo, una seconda indagine legata al caso, riguardante un alto funzionario del ministero della Giustizia, “è stata formalizzata dalla Procura di Roma. La Procura è, ovviamente, indipendente e la durata del procedimento non è in alcun modo prevedibile”.

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Ma l’insieme di queste mosse disegna una strategia precisa: ridurre il margine d’azione della giustizia internazionale, riaffermare il primato della politica, e proteggere chi siede al potere. È una visione del mondo che sostituisce il diritto con la forza, la responsabilità con la convenienza, e la cooperazione internazionale con l’interesse di parte.

Non è normale che un Paese democratico scelga di piegare le regole in base alla convenienza politica. Non è normale che un governo che si proclama sovranista costruisca, pezzo dopo pezzo, un diritto diseguale, dove i potenti restano impuniti e la legge vale solo per i deboli.

L’Italia, così, rischia di scivolare su un terreno pericoloso: quello in cui non conta più la giustizia, ma chi la può evitare. È la legge del più forte e del più furbo, l’esatto contrario dello Stato di diritto che la Costituzione e lo Statuto di Roma volevano difendere.

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