C’è qualcosa di profondamente offensivo – e insieme rivelatore – quando Matteo Salvini e Giorgia Meloni si permettono di fare ironia sullo sciopero della Cgil, accusando i lavoratori di volersi concedere un “ponte lungo”.
Entrambi, è bene ricordarlo, non hanno mai lavorato davvero. E quando Salvini querelò un giornalista che lo aveva detto perse. Non sanno cosa significhi svegliarsi presto ogni mattina per affrontare il traffico, timbrare un cartellino, sedersi dietro una scrivania o entrare in una fabbrica. Non conoscono la vita di chi lavora con l’ansia di perdere il posto, con la paura della cassa integrazione, del licenziamento, dell’ennesima ristrutturazione aziendale.
Non hanno mai provato la precarietà, il salario basso, la fatica che si porta addosso a fine turno. E soprattutto, non sanno – o fingono di non sapere – che chi sciopera non si regala un giorno di vacanza, ma rinuncia a una giornata di stipendio per affermare un diritto, per dire che qualcosa non va.
Per questo è triste, e persino indecente, che due politici di professione – persone che vivono di denaro pubblico da decenni – trovino il modo di sbeffeggiare chi protesta. Lo fanno con leggerezza, dall’alto dei loro stipendi garantiti e dei loro privilegi, come se la fatica del lavoro fosse un concetto astratto.
E ancora più grave è l’ignoranza che traspare da quelle battute: non sanno, o non vogliono sapere, che in Italia milioni di persone lavorano anche il sabato e la domenica, che la settimana “corta” è un lusso per pochi, non certo per gli operai, gli infermieri, i turnisti, i precari.
Da chi non ha mai vissuto un giorno da lavoratore, non ci si può aspettare empatia per chi lavora. Ma almeno il silenzio, quello sì, sarebbe segno di rispetto.