In una giornata decisiva per la costruzione della manovra, Fratelli d’Italia ha scelto di fare un passo indietro su un tema destinato a infiammare lo scontro politico: la riforma delle regole sugli scioperi nei servizi di trasporto pubblico. Il senatore Matteo Gelmetti, primo firmatario dell’emendamento presentato alla legge di Bilancio, ha annunciato il ritiro della proposta, evitando di aprire una frattura nella maggioranza proprio nel momento in cui il governo accelera sui tempi dell’approvazione della manovra economica 2026.
L’emendamento ritirato puntava a ridisegnare il funzionamento degli scioperi, introducendo un criterio più aderente alla realtà della partecipazione dei lavoratori. Non più un automatismo legato all’annuncio formale da parte di una sigla sindacale, anche minore, ma un parametro basato sull’effettivo livello di adesione. Un tentativo di correggere quella che i promotori definiscono una distorsione storica del sistema: oggi, al semplice annuncio di uno sciopero, le aziende di trasporto sono obbligate a garantire solo il 50% del servizio, indipendentemente dal numero reale di lavoratori che incrociano le braccia.
Secondo FdI, questo meccanismo genera un “dumping degli scioperi”, producendo disagi enormi per i cittadini – treni soppressi, autobus fermi, code interminabili – senza che ciò corrisponda a una protesta di massa. A rimetterci sono gli utenti, non le aziende: un paradosso, sottolineano i proponenti, se si considera che il trasporto pubblico è finanziato in gran parte dallo Stato.
Nel comunicato diffuso nel pomeriggio, Gelmetti ha spiegato in modo netto le ragioni della retromarcia: “Ritengo opportuno ritirare l’emendamento che avevo presentato alla legge di Bilancio, dove per ragioni oggettive mancano le condizioni per una discussione approfondita ed ampia.” Una scelta che punta a evitare uno scontro intempestivo, rimandando il confronto a un iter più strutturato. L’esponente di Fratelli d’Italia ha poi annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge dedicato, spiegando: “Sono sicuro che sarà possibile quel confronto che adesso mancherebbe”.
Il senatore entra anche nel merito della questione, indicando la radice del problema: “Occorre intervenire sulla stortura derivante dalla normativa che attualmente regola gli scioperi nel contesto del trasporto pubblico. Oggi il solo annuncio di uno sciopero, anche da parte di una sigla sindacale minore, comporta che le aziende di trasporto siano costrette a ridurre del 50 per cento il servizio. Questo qualunque sia il reale livello di adesione allo sciopero stesso.” Parole che riassumono l’obiettivo politico di FdI: creare un legame più trasparente tra la protesta dei lavoratori e l’effettiva riduzione dei servizi, nel rispetto – come sottolinea Gelmetti – del “legittimo diritto dei lavoratori di far sentire la propria voce”.
La scelta di ritirare l’emendamento arriva in un momento estremamente delicato per la manovra. Il governo Meloni, alle prese con centinaia di correttivi, ha bisogno di evitare scossoni interni che possano rallentare un calendario già teso. Inserire una riforma strutturale sugli scioperi in un provvedimento tecnico come la legge di Bilancio sarebbe stato politicamente rischioso e tecnicamente complesso. Collocarla in un ddl autonomo, invece, permette di spostare il confronto su un terreno più neutro e meno conflittuale, lasciando respirare la macchina parlamentare.
Sul fronte politico, la mossa di Fratelli d’Italia è un segnale di pragmatismo. Il partito che guida la coalizione ha scelto di non forzare un tema che tocca diritti costituzionali e che avrebbe probabilmente innescato una reazione immediata del fronte sindacale. Non a caso, fonti vicine alla Cgil parlano di “sollievo” per lo stop a un intervento che avrebbe potuto alterare gli equilibri del settore senza un reale confronto con le parti sociali. Anche l’opposizione aveva criticato l’emendamento, definendolo un “regalo alle aziende” e richiamando l’articolo 40 della Costituzione.
Eppure, la partita resta aperta: con un ddl dedicato, FdI sceglie di affrontare il nodo degli scioperi nel trasporto pubblico in un’arena politica più ampia e, potenzialmente, più conflittuale. Un banco di prova per la capacità della maggioranza di dialogare con sindacati e opposizioni, in vista delle sfide politiche del 2026.
Le implicazioni per milioni di pendolari restano sullo sfondo. Una riforma calibrata potrebbe finalmente allineare il servizio pubblico ai reali livelli di adesione agli scioperi, riducendo quei blackout del trasporto – da Roma a Milano – che paralizzano regolarmente il Paese. Ma il cuore della questione è complesso: chi misurerà l’adesione reale? Come garantire trasparenza e imparzialità? Il rinvio consentirà, forse, di sciogliere questi nodi.
Nel frattempo, la manovra prosegue il suo percorso: il Senato discuterà il testo il 18 novembre, con un voto di fiducia atteso entro fine mese. Il ritiro dell’emendamento di FdI è un gesto tattico: in politica il tempismo è tutto. Ma per gli italiani bloccati in fila durante uno sciopero “fantasma”, la sensazione è la stessa: il dibattito avanza, le soluzioni arrivano sempre un po’ più tardi.