Alla Conferenza contro il femminicidio, Carlo Nordio ha scelto di ricorrere a spiegazioni pseudo-biologiche che sembrano uscite da un manuale di antropologia dell’Ottocento. Ha sostenuto che “Il maschio non accetta la parità, il suo codice genetico fa resistenza”, attribuendo così la radice dei femminicidi a una presunta tara naturale del sesso maschile, anziché a dinamiche sociali, culturali e storiche che richiedono politiche serie e strumenti moderni.
A margine dello stesso evento, la ministra Eugenia Roccella ha affermato che “non c’è correlazione tra educazione sessuale e un calo dei femminicidi”, una tesi che ignora anni di studi e pratiche internazionali sulla prevenzione della violenza di genere. Non sorprende che l’opposizione abbia immediatamente condannato queste prese di posizione.
Nordio ha poi sviluppato il suo ragionamento, dicendo: “Io mi sono sempre chiesto – afferma Nordio -, da modesto studioso anche di storia, come mai siamo arrivati a questa prevaricazione continua, ininterrotta, secolare, millenaria, dell’uomo nei confronti della donna: è una risposta se vogliamo un po’ darwiniana della legge del più forte”. Una spiegazione che riduce millenni di costruzioni sociali a un presunto destino naturale.
Ha aggiunto che “Nel senso che dai primordi l’unico criterio di forza era quello della forza fisica, della forza muscolare. E poiché la natura ha dotato i maschietti di una forza muscolare maggiore di quella delle femminucce dai primordi dei tempi, questo unico criterio di superiorità ha diciamo fondato il cosiddetto maschilismo. Se andiamo a guardare la storia dell’umanità, vediamo che purtroppo, salvo rare eccezioni, è un continuo dominio maschile”. È una visione che ignora complessità storiche e culturali, trasformando tutto in un determinismo fisico che oggi appare francamente anacronistico.
Secondo il ministro, “tutto questo ha comportato una sedimentazione anche nella mentalità dell’uomo, intendo proprio del maschio, che è difficile da rimuovere perché è una sedimentazione che si è formata in millenni di sopraffazione, di superiorità. Quindi anche se oggi l’uomo accetta, e deve accettare, questa assoluta parità formale e sostanziale nei confronti della donna, nel suo subconscio, nel suo codice genetico trova sempre una certa resistenza”. Ancora una volta, Nordio attribuisce alla biologia ciò che deriva da cultura ed educazione, evocando un “codice genetico” che non ha alcun fondamento scientifico.
E infine: “Ecco perché – spiega ancora Nordio – secondo me è necessario intervenire con le leggi, con la repressione, con la prevenzione. Ma è soprattutto necessario intervenire sull’educazione. Un po’ come fanno gli psicologi, gli ipnotisti, gli psicanalisti, quando trovano una specie di tara mentale che deriva da un trauma adolescenziale, noi dobbiamo cercare di rimuovere dalla mentalità dei maschietti questa sedimentazione millenaria di superiorità che continua a tradursi in questi atti di violenza”.
Il risultato è un discorso che pretende di contrastare la violenza maschile ricorrendo a categorie antiquate e a un linguaggio che patologizza gli uomini invece di affrontare le radici culturali e sociali del fenomeno. Un approccio che appare più figlio della mentalità che dovrebbe combattere che di una politica realmente orientata al cambiamento.