La Biennale d’arte di Nemrut, alla sua prima edizione, nasce sotto il segno della ricerca di una “Civiltà immaginaria“; a spiegarne il concetto è Nihat Ozdal, curatore dell’iniziativa, ad AGI: “Il caos, la violenza, le guerre di quest’epoca ci costringono a una riflessione più profonda sul concetto di civiltà. La sfida di questa biennale è quella di creare una civiltà immaginaria da zero, in luogo che per millenni è stato la culla di culture, popoli e imperi che hanno contribuito al progresso dell’uomo”.
In effetti archeologia e arte contemporanea si incontrano nell’est della Turchia presso siti archeologici simbolo del Paese, per offrire le opere di 53 artisti provenienti da 23 diversi Paesi, installate nell’incredibile scenario della provincia di Adiyaman, su un territorio in cui i primi uomini si sono insediati 4 mila anni fa, dando vita a una catena ininterrotta di civiltà che giunge fino ai giorni nostri.
“La civiltà è nata qui, dove scorre l‘Eufrate ed è qui che siamo tornati per dar vita all’idea della nascita di una nuova civiltà. L’area ha ancora molto da offrire dal punto di vista archeologico e le opere esposte si incastrano al fianco di reperti di valore inestimabile per dare al visitatore una doppia prospettiva, sul passato e sul futuro”, spiega il curatore Ozdal.
Di queste opere: tre sono installate sulla cima del monte Nemrut, intorno a un santuario realizzato in onore del re Antioco di Komagene nel 62 a.C. Altre 5 opere, tra cui quella dell’italiano Stefano Bosi Devoti, sono situate ad Arsameia, santuario fatto costruire da Antioco I in onore del padre Mitridate.
Altro luogo della biennale il tumulo dell’Aquila Nera, monumento funebre, è ritenuto uno dei più antichi monumenti al mondo interamente fatto costruire in memoria di donne, circa nel 30 a.C. da Mitridate, e oggi ospita 4 opere della biennale.
Poco lontano due opere, più alcuni concerti in programma, hanno trovato spazio in un luogo che i romani chiamavano il ponte dei Severi, il secondo ponte romano ad arco per lunghezza. La maggior parte delle opere, ben 33, tra cu quella dell’italiano Critiano Carotti, sono situate nel castello di Kahta. Costruito dai Mamelucchi nel 1260, la struttura ha resistito ad assedi, guerre e invasioni, ceduto, è stata ricostruita fino ad essere effettivamente utilizzata fino al 1926.
Ultimo luogo, meno antico, ma più suggestivo, sono le isole formatesi con la diga costruita sul fiume Eufrate nel 1990, dove sono posizionate le 9 opere, raggiungibili grazie a barche di pescatori che d’estate portano turisti e locali a fare un tuffo in queste calde acque e ora a visitare le installazioni.