Il cinema è in crisi e Trump rincara la dose
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Il cinema è in crisi e Trump rincara la dose

Le polemiche di De Niro a Cannes e la lettera dei protagonisti del cinema italiano al ministro Giuli mostrano come il cinema stia attraversando un momento cruciale

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15 Maggio 2025 - 16.52 Culture


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di Raffaella Gallucci

Il cinema è nell’ occhio del ciclone. Tante vicende, prese di posizione e polemiche si stanno susseguendo in questi giorni: dalla lettera di gran parte dei protagonisti del cinema italiano al ministro Giuli (al quale il nostro giornale dedica un articolo specifico) alle dichiarazioni di De Niro che da Cannes lancia strali contro Trump affermando che : “Il presidente filisteo degli Stati Uniti si è autoproclamato capo di una delle nostre principali istituzioni culturali e ha tagliato finanziamenti e sostegno alle arti, alle discipline umanistiche e all’istruzione. Non si può dare un prezzo alla creatività, ma a quanto pare si può imporre una tariffa”. Nel suo discorso ha anche aggiunto come nel suo Paese si stia lottando con le unghie e con i denti per la Democrazia sostenendo come questo non riguardi solo gli Usa ma “è un problema globale: ci riguarda tutti, perché le arti sono democratiche. L’arte è condivisa, è inclusiva, unisce le persone. L’arte cerca la verità e abbraccia la diversità, ed è per questo che è una minaccia per autocrati e fascisti”.

A dare avvio a tutto questo era stato, in realtà, più di una settimana fa, Donald Trump con una delle sue solite uscite. Il presidente ha infatti deciso di estendere la sua storica ossessione per i dazi anche all’industria cinematografica.

Lo scorso 4 maggio ha annunciato l’intenzione di imporre un dazio del 100% su tutti i film prodotti al di fuori degli Stati Uniti. A suo dire, l’industria cinematografica americana starebbe “morendo di una morte molto veloce”, soffocata dagli incentivi economici che altri Paesi offrono per attrarre le grandi produzioni.

La dichiarazione ha subito generato confusione e preoccupazione a Hollywood e non solo. Molti dirigenti e produttori si sono detti spiazzati: al momento non è chiaro come questi dazi verrebbero applicati — si estenderebbero anche ai film americani girati parzialmente all’estero? Oppure solo ai contenuti destinati esclusivamente alle piattaforme di streaming?

I sindacati di categoria, come SAG-AFTRA e IATSE, si sono mostrati aperti a politiche che incentivino le produzioni sul territorio statunitense. Tuttavia, sottolineano come misure fiscali mirate sarebbero più efficaci e sostenibili rispetto a dazi generalizzati.

L’idea sembrerebbe nata da un incontro tra Trump e l’attore Jon Voight — da lui nominato “ambasciatore speciale” di Hollywood — affiancato da Sylvester Stallone e Mel Gibson. In quell’occasione, Voight ha presentato un piano per rilanciare l’industria americana del cinema, che prevede incentivi fiscali federali, accordi di co-produzione e sussidi per i proprietari di sale cinematografiche e case di produzione.

La notizia, accolta inizialmente con stupore, ha destabilizzato l’ambiente cinematografico internazionale. Le reazioni oscillano tra scetticismo e allarme: se il piano dovesse entrare davvero in vigore, potrebbe causare danni significativi a un settore già profondamente in crisi.

L’industria del cinema, infatti, affronta oggi difficoltà strutturali: budget sempre più alti per progetti che, spesso già nella fase embrionale, sembrano privi di reale appeal sul pubblico; costi di produzione e distribuzione in costante aumento; investimenti che raramente riescono a rientrare. In questo contesto così delicato, misure punitive come i dazi rischiano di aggravare ulteriormente la situazione, piuttosto che offrire soluzioni concrete.

L’introduzione dei dazi appare più come una misura simbolica e minacciosa che una reale strategia di rilancio. Invece di penalizzare le produzioni estere, sarebbe auspicabile che il governo investisse in politiche di incentivo volte a rafforzare la competitività interna e sostenere concretamente le produzioni nazionali.

Come riporta Il Post, FilmLA — l’ente che regola e monitora le produzioni a Los Angeles — segnala che solo nel 2024 si è registrato un calo del 5,6% nelle richieste di permessi per girare in città. Per esempio, il nuovo Avengers: Doomsday ha abbandonato la Georgia per trasferirsi nel Regno Unito, da sempre ben attrezzato per accogliere grandi produzioni e con troupe di madrelingua inglese. Lo stesso accadrà anche per i prossimi progetti tratti dai fumetti DC e per il prossimo Star Wars.

Quindi, l’imposizione di dazi sulle produzioni cinematografiche straniere più che rafforzare l’industria americana, rischia di isolarla ulteriormente, riducendo le opportunità di scambio e collaborazione internazionale, ostacolando la creatività e allontanando investimenti e talenti.
Il cinema ha sempre vissuto di contaminazioni, aperture e visioni globali: tentare di chiuderlo entro i confini nazionali, attraverso barriere economiche, non farà che impoverirlo. Se davvero si vuole rilanciare Hollywood, la strada da percorrere non è quella della penalizzazione, ma dell’investimento intelligente, dell’innovazione e del sostegno concreto alle nuove idee. Solo così si potrà tornare a sognare a Los Angeles e nel mondo.

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