Alla luce di quanto accaduto negli ultimi anni, con il fenomeno delle fake news sempre più diffuse attraverso le piattaforme social, tanto da arrivare ad influenzare la vita politica di diversi paesi tra cui gli Stati Uniti, la Michigan State University ha pubblicato lo studio Problematic social media use is associated with believing in and engaging with fake news per indagare quale sia la dinamica del fenomeno e perché sia così pregnante.
I dati sulla fruizione dell’informazione negli Usa hanno rilevato che oltre il 60% della popolazione ha come fonte di informazione principale i social network, dove è ben più facile essere esposti a notizie non verificate e totalmente false. L’informazione falsa e non verificata, che in breve identifichiamo come fake news ha una circolazione ben più rapida rispetto alle notizie vere e verificate.
La maggiore circolazione è dovuta proprio all’alto numero di interazioni generate, poiché spesso queste notizie sono create ad hoc per tale fine, sfruttando sensazionalismo, titoli clickbait, un linguaggio emotivamente coinvolgente che fa leva su paure e stereotipi. Così si suscita facilmente una reazione di immediato sconvolgimento che porta il fruitore della fake news a farla circolare sempre di più.
“I social media sono onnipresenti nella nostra vita quotidiana e alcune persone ne fanno un uso eccessivo. Abbiamo scoperto che questo uso problematico è associato a una maggiore tendenza a credere e a interagire con la disinformazione, contribuendo così alla sua moltiplicazione”, spiega Dar Meshi, professore associato alla Michigan State University e coautore insieme alla professoressa Maria D. Molina dello studio, pubblicato sulla rivista PLOS One.
A 189 soggetti, con un’età compresa tra i 18 e i 26 anni, sono state sottoposte 20 notizie in forma di post di social media, dieci vere e dieci false in ordine randomico. I partecipanti in base alla loro convinzione riguardo le notizie, se fossero queste vere o false dovevano interagire come su un vero social network, con commenti, like e condivisioni.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come chi fa un uso problematico dei social, ha un’alta propensione, fino a tre volte superiore, di ritenere vere notizie palesemente false. Inoltre, più tempo si passava sulle piattaforme, allontanandosi da una vita reale e fisica, più aumenta la fiducia nelle fake news. A meno senso critico, corrisponde inoltre una maggiore propensione ad interagire con la falsa informazione e quindi rendere sempre più virali tali contenuti.
Lo studio mirava anche a far luce sui motivi per cui soprattutto tra i giovani adulti si registrasse una presa così accentuata delle fake news. È emerso che tra questi vi è un’assenza di capacità di verifica delle fonti, che la caratteristica dei social, di dare in pasto ai fruitori contenuti brevi porti ad una fruizione sempre più intensa in termini di tempo, ma sempre più passiva in termini di assorbimento dell’informazione.
Come riporta anche Agnese Ferrara su ansa.it, si può parlare di vero e proprio fenomeno di social addicted, nel momento in cui il soggetto passa sempre maggiore tempo sulla piattaforma, aumentando il proprio livello di stress e nel momento in cui cerca di staccarsene o è impossibilitato a connettersi prova senso di colpa e aumento dello stato d’ansia. Chiare caratteristiche di una vera e propria dipendenza.
Lo studio, oltre ad una mera analisi del fenomeno, si proponeva (come si evince dalle parole degli autori della ricerca) di fare un appello ai colossi dei social network, in modo che possa essere concretamente utile: “Collaborando con le aziende di social media si potrebbe studiare metodi per aiutare questi utenti e limitare la loro esposizione alle fake news e alla condivisione compulsiva”.