di Marcello Cecconi
“La Costituzione non è un pezzo di carta. È il testamento di centomila morti. “ Sintetizzava così Piero Calamandrei, tra i principali architetti della Costituzione e voce della democrazia laica e progressista. L’incubazione della nostra Carta prese avvio proprio il 2 giugno 1946 quando Il popolo, per la prima volta anche quello femminile, fu chiamato a scegliere tra Monarchia e Repubblica e a eleggere i membri dell’Assemblea Costituente, incaricata di dare al Paese una nuova carta fondamentale.
La vittoria della Repubblica (con circa 12,7 milioni di voti contro 10,7 per la Monarchia) non fu solo un cambio di regime, ma anche l’inizio di un percorso che avrebbe portato all’entrata in vigore della Costituzione italiana. Un testo di eccezionale lungimiranza e completezza, che ancora oggi rappresenta un baluardo dei diritti e delle libertà fondamentali, nato in un contesto profondamente segnato dalla guerra, dalla fine del fascismo e dalla lotta di Liberazione.
La scelta della Repubblica, con un’affluenza straordinaria, rispecchiava una volontà di rottura con il passato autoritario e monarchico mentre l’Assemblea Costituente – composta da 556 membri – rifletteva la pluralità culturale e politica del Paese: cattolici, comunisti, socialisti, azionisti, liberali, repubblicani. Tutti uniti da un comune spirito antifascista e dal desiderio di costruire un’Italia nuova, fondata su principi democratici e sociali.
Attori come Alcide De Gasperi, Piero Calamandrei, Palmiro Togliatti, Giuseppe Dossetti, Meuccio Ruini e Teresa Noce contribuirono a plasmare un testo che, pur tra scontri e mediazioni, riuscì a miscelare con equilibrio valori di giustizia sociale, libertà individuale e solidarietà. Il 27 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli e 62 contrari e dopo 170 sedute di discussione, l’Assemblea Costituente approvò il testo della Costituzione Repubblicana con la firma del capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola che assumerà il titolo di Presidente della Repubblica, dal presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini, dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal Guardasigilli Giuseppe Grasso. Il testo entrerà in vigore il 1 gennaio 1948 al momento della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La Costituzione divenne così la sintesi più alta del compromesso tra le culture cattolica, socialista e liberale, sancendo principi inviolabili come la centralità del lavoro, l’uguaglianza, i diritti civili e politici, il ripudio della guerra. A quasi 80 anni di distanza la Costituzione continua a rappresentare, per molti cittadini e per una parte della politica, un baluardo di protezione democratica. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne è oggi il custode più autorevole e inflessibile, simbolo della continuità e della difesa dei valori fondamentali. Eppure, le tensioni non mancano. Già nel 1952, solo quattro anni dopo la sua promulgazione, Guido Gonella della DC auspicava riforme per “rafforzare l’autorità dello Stato”, aprendo così la strada ai tentativi successivi di revisione costituzionale.
Nonostante i molteplici attacchi, alcuni più sfumati, altri più espliciti, la Costituzione ha sempre retto, confermando la sua solidità. Oggi, però, si trova di fronte a un attacco senza precedenti: la riforma del premierato, proposta da Giorgia Meloni, e l’autonomia differenziata sostenuta da Matteo Salvini. I due provvedimenti, ammantati di ideologia e che minano i diritti sociali e l’equilibrio dei poteri, hanno radici diverse e sembrano messi insieme più per logiche di baratto politico interno alla maggioranza che per una riflessione organica e condivisa sull’architettura istituzionale del Paese.
Il premierato meloniano mira a rafforzare il potere dell’esecutivo, riducendo il ruolo del Presidente della Repubblica e delle Camere, mentre l’autonomia differenziata proposta dalla Lega rischia di spezzare l’unità del Paese privilegiando le regioni più ricche. E tutto quanto in un percorso che rinuncia in partenza a uno spirito di confronto allargato come quello del 1948 rischiando così di piegare la Costituzione del compromesso a un populismo “modernizzatore” che mira più al consenso dell’immediato che a un reale rafforzamento democratico.
Difendere la Costituzione non significa idolatrarla ma proteggerne lo spirito inclusivo e democratico e se, e quando, una revisione della Carta fosse necessaria, giusto svilupparla con la stessa lungimiranza e lo stesso spirito di compromesso che animarono i padri costituenti. Le sfide attuali richiedono una mobilitazione consapevole e un dibattito serio.