Per Trump la guerra all'Iran è un videogioco: "Sappiamo dov’è Khamenei, per ora non lo uccideremo"
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Per Trump la guerra all'Iran è un videogioco: "Sappiamo dov’è Khamenei, per ora non lo uccideremo"

Con queste parole, Trump ha trasformato una crisi diplomatica in una sceneggiatura da videogioco distopico. Manca solo il joystick.

Per Trump la guerra all'Iran è un videogioco: "Sappiamo dov’è Khamenei, per ora non lo uccideremo"
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17 Giugno 2025 - 19.16


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Donald Trump ha superato un’altra linea rossa. E non sul piano strategico, ma su quello morale e simbolico. In un post delirante pubblicato su Truth Social – la sua personale bolla social – il presidente americano ha chiesto all’Iran la “resa incondizionata” (in maiuscolo), minacciando apertamente la vita della più alta autorità politica e religiosa del Paese.

“Sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro. Non lo elimineremo (non lo uccideremo!), almeno non per ora.”

Con queste parole, Trump ha trasformato una crisi diplomatica in una sceneggiatura da videogioco distopico. Manca solo il joystick.

La diplomazia sostituita dalla minaccia personale

Per l’ex tycoon, oggi tornato alla Casa Bianca, i rapporti internazionali sembrano ridotti a un gioco tra “buoni” e “cattivi”, con la differenza che dietro le sue frasi non ci sono effetti speciali, ma persone vere. Milioni.

Il messaggio prosegue con toni sempre più inquietanti: “La nostra pazienza sta per esaurirsi”, ha scritto, come se fosse un cowboy dell’era atomica. Nessun riferimento ai civili, nessuna apertura a canali diplomatici, solo sfida e umiliazione.

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Secondo fonti della stampa americana, il Pentagono si sarebbe opposto a rendere pubbliche le informazioni sulla posizione di Khamenei, ma il presidente avrebbe ignorato gli avvertimenti. L’obiettivo? Intimidire, dettare i tempi del confronto, mostrare i muscoli. In poche parole: fare propaganda, sulla pelle di milioni di persone.

Teheran sotto assedio, la popolazione fugge

Intanto, la tensione cresce. Secondo Associated Press, a Teheran le sirene antiaeree hanno suonato per ore. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade, spaventate da un attacco americano dato da molti come imminente. Alcune ambasciate occidentali hanno evacuato il personale non essenziale. La paura è tangibile.

E non è la prima volta che Trump gioca con il fuoco. Nel 2020 aveva ordinato l’uccisione del generale Qassem Soleimani, alimentando un’escalation che ha portato il mondo a un passo dal conflitto aperto. Ora, da presidente in carica, alza ancora l’asticella, senza che nessuno a Washington sembri in grado di fermarlo.

Quando il potere diventa gioco

Quello che preoccupa non è solo la brutalità del messaggio, ma la sua estetica: tutto, nel linguaggio trumpiano, rimanda a un universo immaturo, da intrattenimento digitale. Gli avversari sono “bersagli”, la guerra è un’opzione “in pausa”, i nemici si “eliminano”.

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È la cultura dello show permanente, in cui la realtà viene compressa in slogan e minacce, senza spazio per il ragionamento. Un pericolo reale, in un mondo reale.

La diplomazia umiliata, il caos come strategia

Nel silenzio del Dipartimento di Stato, Trump continua a gestire la politica estera come una serie di post da reality. Eppure, dietro la retorica muscolare, c’è un dato spaventoso: nessuno, né a Washington né a Teheran, sembra avere un piano per disinnescare questa bomba a orologeria.

Il rischio? Che le parole di Trump diventino un’autoprofezia. Perché a furia di evocare lo scontro totale, finiremo per trovarcelo davanti. Senza aver capito quando abbiamo smesso di chiamarla diplomazia.


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