A 80 anni dal primo esperimento in New Mexico c’è ancora l’ombra lunga dell’atomica
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A 80 anni dal primo esperimento in New Mexico c’è ancora l’ombra lunga dell’atomica

Dal 16 luglio 1945 la deterrenza nucleare divenne dottrina attraverso il paradossale equilibrio di pace fondato sulla paura. La bomba, creata per fermare una guerra, ha fermato per decenni la capacità dell’umanità di crescere nel pensiero diplomatico

A 80 anni dal primo esperimento in New Mexico c’è ancora l’ombra lunga dell’atomica
Il deserto del New Mexico dove avvenne la prima esplosione nucleare
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Marcello Cecconi Modifica articolo

15 Luglio 2025 - 19.35 Culture


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Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi.” Le parole tratte dal testo sacro induista, Bhagavad Gita, e pronunciate da J. Robert Oppenheimer dopo la prima esplosione nucleare, sono diventate la citazione simbolo dell’era atomica. Era il 16 luglio 1945, esattamente ottant’anni fa e l’umanità, nel deserto di Jornada del Muerto, a circa 56 km a sud-est di Socorro in New Mexico, superava un punto di non ritorno.

Il test, nome in codice Trinity, fu la prova generale dell’inferno. Pochi giorni dopo, il 6 e 9 agosto 1945, gli Stati Uniti sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, uccidendo oltre 200.000 civili. Per alcuni storici, fu la “necessaria fine” della guerra. Per molti altri, l’inizio di un incubo. Da lì, la corsa all’atomica strumento di guerra e potere oltre che feticcio geopolitico. Nel 1949 l’Unione Sovietica fece esplodere la sua prima bomba facendo dell’atomica la regina della Guerra Fredda. La deterrenza nucleare divenne dottrina, attraverso il paradossale equilibrio di pace fondato sulla paura, che ha retto per decenni.

A seguire, altri paesi si unirono al “club nucleare” ufficiale. Regno Unito (1952), Francia (1960), Cina (1964), India (1974), Pakistan (1998), Corea del Nord (2006).  E poi ci sono i “non ufficiali”, come Israele, che mantiene la strategia dell’ambiguità nucleare ma secondo tutte le intelligence mondiale possiede testate atomiche. Insomma, a ottant’anni da Trinity, l’atomica non è un ricordo da museo della Guerra Fredda ma è al centro del presente attraverso la sua ombra proiettata sul mondo intero attraverso quei focolai di guerra che non c’è capacità o volontà di estinguere.

Come in Iran, che con il suo programma nucleare controverso, è diventato il bersaglio di Usa e Israele accendendo una tensione regionale e globale pericolosa. Come Israele, che si considera minacciato su più fronti e reagisce giorno dopo giorno con l’assassinio di terroristi di Hamas e civili palestinesi al limite del genocidio, restando arroccato nella sua dottrina di difesa atomica silente. Come in Ucraina, che nel 1994 rinunciò al suo arsenale ex sovietico in cambio di “garanzie” occidentali e che da qualche anno si ritrova invasa da una potenza straniera nucleare, la Russia, senza che quelle garanzie abbiano retto.

Se in questi ottant’anni siamo diventati tecnologici, più veloci, più interconnessi e più capaci di comunicare, non siamo, invece, diventati più bravi a vivere insieme e a gestire i conflitti. Le democrazie occidentali vacillano, preda di populismi, polarizzazioni e disillusioni. I muri tornano ad alzarsi, dalle frontiere fisiche a quelle ideologiche, con le guerre locali che si moltiplicano e su tutto aleggia l’incubo della guerra globale. Che oggi non sarebbe convenzionale. Sarebbe, inevitabilmente, atomica.

La risposta giusta alla domanda “dove stiamo andando”, non potrebbe che essere “da dove non ci siamo mai mossi”. La bomba atomica ha funzionato da freno, da minaccia, da tabù. Ma non ha mai portato alla pace autentica, condivisa, sostenibile.

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