Se n'è andato Livio Macchia: l'anima silenziosa dei Camaleonti
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Se n'è andato Livio Macchia: l'anima silenziosa dei Camaleonti

Protagonista del beat all'italiana, fu decisivo nel salto di qualità del suo gruppo che passò dal beat ruvido al al pop melodico. Canzoni come 'Io per lei', 'Viso d’angelo', 'Perché ti amo', hanno senso della melodia che ancora oggi colpisce per la sua sobrietà

Se n'è andato Livio Macchia: l'anima silenziosa dei Camaleonti
I primi Camaleonti con Livio Macchia, Paolo De Ceglie, Riki Maiocchi, Tonino Cripezzi
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Marcello Cecconi Modifica articolo

30 Luglio 2025 - 15.41 Culture


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Aveva 83 anni, Livio Macchia, e da tempo combatteva con problemi di salute, ma per chi è cresciuto con L’ora dell’amore o Applausi, la notizia ha il sapore amaro dell’addio definitivo a un’epoca che oggi sembra lontanissima eppure ci parla ancora. È morto ieri a Melendugno, nella Puglia che gli ha dato i natali, il chitarrista, bassista e anima discreta dei Camaleonti, storico gruppo musicale che ha attraversato da protagonista le stagioni d’oro del beat italiano e sentimentale.

Fu co-fondatore dei Camaleonti con Paolo De Ceglie e Riki Maiocchi, (sostituito nel 1966 da Mario Lavezzi) ai quali si aggiunse Tonino Cripezzi e Gerry Manzoli, una delle band più longeve e riconoscibili del panorama italiano. Macchia, nonostante la malattia con cui lottava da anni, il 30 giugno scorso nel borgo di Roca Nuova, era riuscito a tenere un concerto, nell’ambito del BluFestival, la rassegna estiva di eventi organizzata dal Comune di Melendugno, per festeggiare i 60 anni di carriera del gruppo.

I Camaleonti hanno pubblicato 28 album, venduto milioni di dischi e calcato i palchi di Sanremo, Festivalbar, Cantagiro, portando avanti una carriera durata più di mezzo secolo. Per capire cosa furono i Camaleonti, e chi era Livio Macchia dentro quel gruppo, bisogna risalire alla Milano degli anni Sessanta, quando, dai garage e dalle cantine fuoriuscivano e assalivano sonorità del rock con l’accento lombardo.

Il beat all’italiana nasceva lì, tra cover dei gruppi inglesi riadattate, abiti psichedelici e capelli lunghi. E i Camaleonti, come Equipe 84, Nomadi, Dik Dik e molti altri, sono tra gli interpreti più riconoscibili di quei “capelloni” che cercavano di cantare l’amore e la ribellione con strumenti elettrificati ma cuore italiano.

Nati nel 1963, i Camaleonti seppero cambiare pelle, come non potevano con quel nome, virando dalla fase beat più ruvida a una stagione pop-melodica, raffinata e commerciale al tempo stesso, con arrangiamenti curati, armonie vocali studiate su testi che parlavano d’amore con grazia e giusta dose di malinconia. Livio Macchia fu decisivo in questo loro salto di qualità grazie alla sua sensibilità musicale che contribuì a costruire un’identità riconoscibile.

Fecero da colonna sonora a un’Italia in trasformazione: dal boom economico alle prime disillusioni, dalle minigonne agli anni di piombo, il loro stile restò sempre fedele a una musica popolare ma non banale, accessibile ma non urlata. Canzoni come Io per lei, Eternità, Viso d’angelo, Perché ti amo, Quell’attimo in più parlavano d’amore, sì, ma lo facevano con un senso della melodia che ancora oggi colpisce per la sua sobrietà.

Livio Macchia non amava fare il frontman. Lui era il musicista artigiano, l’uomo delle note, non delle pose e con la sua scomparsa si spegne un’altra figura di quella generazione che ha portato il pop italiano fuori dai confini del melodramma e dentro l’industria discografica moderna.

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