L’Alaska è una striscia di terra gelata, a cavallo tra l’Artico e il Pacifico, lontana dai centri nevralgici di Washington, unica a non confinare con nessuno dei 50 Stati degli Usa. Eppure, nel grande scacchiere globale, questa regione è sempre stata una casella strategica tanto che fu contesa, venduta e oggi torna prepotentemente nell’agenda politica, complice la scenografia mediatica del prossimo incontro di Ferragosto tra Donald Trump e Vladimir Putin.
A metà dell’Ottocento, la Russia zarista guardava con crescente preoccupazione all’Alaska, sua lontana colonia, perché la gestione era costosa e le rotte di rifornimento erano lunghe e vulnerabili. La crisi finanziaria interna e la percezione che quella regione fosse più un peso che una risorsa, ora che le pellicce erano già in declino per sovrasfruttamento, cominciarono a far pensare a un destino diverso.
Ma fu soprattutto la guerra di Crimea (1853–1856) a far capire allo Zar quanto l’Impero britannico, con la sua potenza navale, poteva facilmente minacciare quei territori. Così, lo zar Alessandro II decise di vendere. Era il 1867 e gli Stati Uniti, in piena espansione verso ovest, colsero l’occasione: il segretario di Stato William H. Seward firmò l’acquisto per 7,2 milioni di dollari. Insomma, secondo una rapida stima circa 25 miliardi di dollari oggi, poco più quello che potrebbe costare alla il Ponte sullo Stretto di Messina.
L’assegno con cui gli Stati Uniti comprarono l’Alaska (Immagine da Wikimedia)
All’epoca l’affare degli Stati Uniti fu deriso tanto che l’operazione conclusa dal Segretario di Stato William H. Seward fu definita la “Follia di Seward”. I giornali criticarono duramente l’affare accusando il presidente democratico Andrew Johnson di avere acquistato “un giardino di orsi polari” e la Camera degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, fece un ostruzionismo per mesi, ratificando il trattato di vendita solo dopo un anno.
Trent’anni dopo la vendita, in Alaska fu scoperto l’oro che divenne un obiettivo per migliaia di statunitensi che vi si trasferirono in cerca di fortuna. Durante la prima metà del Novecento furono scoperti il petrolio e altre risorse, tanto che nel gennaio del 1959 l’Alaska divenne il 49esimo stato degli Usa. Ormai era un gioiello geopolitico che con la sua posizione tornò utile durante la Guerra Fredda quando diventò una delle prime linee di avvistamento contro un eventuale attacco sovietico. Qui nacque, infatti, la Distant Early Warning Line, la catena di radar per monitorare lo spazio aereo artico.
Tra la sua storia di “terra venduta” e il presente di frontiera strategica, l’Alaska rappresenta un promemoria di quanto la geografia sia eterna anche quando la politica cambia. I ghiacci si sciolgono, le rotte si aprono, gli equilibri si spostano, ma tra Russia e Stati Uniti resta questa sottile striscia di mare a separare (e unire) due mondi che, ieri come oggi, si osservano con diffidenza ma anche con interesse.
Sarà uno storico incontro o un bluff quello che potrebbe avvenire ad Anchorage? In ogni caso non hanno voluto nessuno degli altri interessati a testimoniarlo.