La tassa sulla speranza: perché l’Europa si regge anche sull’azzardo

Il gambling europeo è un fisco parallelo: nutre i bilanci pubblici e consola le ansie private. Una tassa volontaria che racconta la doppia anima del continente.

La tassa sulla speranza: perché l’Europa si regge anche sull’azzardo
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1 Ottobre 2025 - 10.52


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In Europa il gioco d’azzardo non prospera nell’ombra, ma nella trasparenza regolata. È un paradosso solo apparente: più lo Stato controlla, più lo Stato incassa. Le cifre pubblicate dal BonusFinder IT parlano chiaro.

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Ma sotto la contabilità emergono asimmetrie sociali: ricerche europee collegano intensità e gravità del gioco a svantaggio socio-economico e disuguaglianze; dove il reddito è più basso o instabile, il ricorso all’azzardo aumenta, e con esso i danni. È la logica dell’anestetico collettivo: quando il presente è stretto, la probabilità diventa promessa. 

Nel mezzo, micro-Stati macro-strategici come Malta mostrano un altro volto della dicotomia: piccoli mercati interni, grande soft power regolatorio—licenze, know-how, occupazione—che trasformano il gambling in politica industriale. Anche qui, più che vizi privati, scelte pubbliche.

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Regole che portano ricavi

In Europa il gioco d’azzardo vive una dicotomia che dice molto più dei suoi numeri: è insieme PIL invisibile e analgesico sociale. Da un lato un’industria misurabile, che nel 2024 ha generato 123,4 miliardi di euro di GGR e spinto l’online verso il 40% del mercato, segnale che la regolazione non estingue il fenomeno, lo istituzionalizza. Dall’altro, una pratica che cresce proprio dove l’economia è più fragile, come se il rischio diventasse narrativa di riscatto quando il reddito vacilla. 

I sistemi più strutturati (Regno Unito, Germania, Francia) capitalizzano su regole e controllo, trasformando l’azzardo in flussi fiscali stabili; la sola Francia ha chiuso il 2024 con 14 miliardi di euro di PBJ, con un aumento del 3,5% rispetto al 2023. Lì dove altri vedono restrizione, Parigi ha visto prevedibilità fiscale e stabilità industriale.

In Italia il gioco è leva di bilancio: le entrate erariali hanno toccato 11,6 miliardi, cifra che spiega perché i governi trattino il settore come infrastruttura economica più che come anomalia. Nel Bel Paese,  la regolazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli funge da infrastruttura invisibile: argina il sommerso, centralizza la raccolta e trasforma il gioco in leva di bilancio, più che in fenomeno marginale.

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Il Regno Unito, con il suo sistema di licenze rigidamente presidiato dalla Gambling Commission, ha chiuso il quarto trimestre 2024 con un GGY online di £1,54 miliardi, in crescita del 21% su base annua, trainato dalle scommesse sportive. Si tratta del l leader europeo del gambling in termini di ricavi, struttura regolatoria e peso economico. Ha un modello industriale maturo con licenze internazionali e grandi operatori quotati in borsa.

L’azzardo digitale prospera non nonostante, ma grazie alla regolazione. La sillogistica è chiara: regola → legittimazione → fiducia → ricavi.

 Non è un cortocircuito, ma la logica stessa dell’azzardo europeo contemporaneo: più la cornice è definita, più il gioco smette di essere devianza e diventa economia formale.

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Azzardo e disuguaglianza: chi gioca di più, chi guadagna di meno

Se la regolazione spiega la solidità dei grandi mercati, a Sud ed Est dell’Europa emerge un’altra logica: più l’economia è fragile, più l’azzardo cresce. Non è solo statistica, è sociologia applicata ai numeri.

La Spagna, con una disoccupazione giovanile tra le più alte d’Europa (27,4% nel 2024), ha generato quasi €9 miliardi di ricavi dal gioco nello stesso anno, con 63 casinò fisici e un’espansione continua dell’online.

In Grecia, il comparto delle scommesse sportive rappresenta la voce più rilevante di un mercato da €1,56 miliardi: non un dettaglio, se si considera che il Paese ha attraversato un decennio di austerità e precarietà diffusa.

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Un pattern simile si osserva in Romania e Bulgaria: economie più deboli, ma settori del gioco in crescita. La Romania ha superato €1,5 miliardi di fatturato nel 2024, la Bulgaria conta addirittura 130 casinò fisici su un territorio limitato, un numero sproporzionato rispetto al potere d’acquisto medio.

La letteratura scientifica conferma questa tendenza. Studi comparativi in Europa indicano che la gravità del gioco patologico è significativamente più alta tra i gruppi con svantaggio socioeconomico e reddito basso. 

Possiamo dedurre che, là dove il presente appare incerto, il rischio diventa narrativa di riscatto, un anestetico collettivo che alimenta la speranza di un futuro diverso?

Così l’azzardo si trasforma in indice di disuguaglianza: al Nord è intrattenimento fiscalizzato, al Sud è surrogato di mobilità sociale. Due volti di una stessa Europa, che gioca con regole uguali ma motivazioni radicalmente diverse.

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Micro-Stati e soft power: il caso Malta

Nella geografia del gioco europeo c’è un’eccezione rivelatrice: i micro-Stati

Malta, con appena 183 milioni di dollari di ricavi diretti nel 2024, sembrerebbe marginale. Eppure il suo peso va misurato altrove. Il gambling rappresenta circa il 7% del valore aggiunto lordo nazionale (GVA) e impiega oltre 10.000 addetti, segno che la regolazione è stata trasformata in politica industriale e strumento di attrazione fiscale.

Qui il gioco non è consumo, ma soft power: licenze, hub tecnologici, server farm, know-how. 

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Un Paese di mezzo milione di abitanti che regola un’industria da miliardi e che, di fatto, proietta all’esterno un’influenza sproporzionata. È la prova che l’azzardo non è solo contabilità nazionale, ma può diventare anche geopolitica invisibile.

Il bilancio nascosto d’Europa

Dai casinò di Parigi alle lotterie italiane, dai bookmaker londinesi fino agli hub digitali di Malta, l’Europa mostra due verità parallele. L’azzardo è PIL invisibile, infrastruttura fiscale che rimpingua i bilanci pubblici. Ma è anche analgesico sociale, rifugio psicologico per i cittadini dei Paesi più fragili, dove il rischio si trasforma in promessa di riscatto.

La dicotomia resta tutta qui: per alcuni Stati è industria regolata, per altri cittadini è sogno statistico. In entrambi i casi, l’azzardo non è un fenomeno marginale, ma un indice culturale e politico del continente. 

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In tempi di crisi e disuguaglianze crescenti, forse la vera domanda è: fino a che punto l’Europa continuerà a giocare su questo tavolo verde, dove il caso diventa economia e la speranza diventa tassa?

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