Mondiale 2026: il calcio globale tra affermazioni identitarie e grande abbuffata
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Mondiale 2026: il calcio globale tra affermazioni identitarie e grande abbuffata

La decisione di aumentare i partecipanti, che la Fifa sbandiera come un passo verso la democratizzazione del calcio, pone anche interrogativi sul futuro dello sport più popolare del pianeta

Mondiale 2026: il calcio globale tra affermazioni identitarie e grande abbuffata
Il claim e il logo del Mondiale 2026
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Marcello Cecconi Modifica articolo

20 Ottobre 2025 - 23.59 Culture


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Quello che dall’11 giugno al 19 luglio 2026 si disputerà tra Stati Uniti, Canada e Messico, sarà il Mondiale della svolta epocale. Per la prima volta parteciperanno 48 squadre contro le 32 delle ultime edizioni. Una decisione che la Fifa sbandiera come un passo verso la democratizzazione del calcio, ma che pone anche interrogativi sul futuro dello sport più popolare del pianeta.

L’obiettivo dichiarato della Fifa è rendere il calcio davvero universale. Con 48 partecipanti, anche federazioni finora marginali avranno accesso alla competizione. Regioni come l’Africa, l’Asia e il Centro America potranno raddoppiare o quasi il numero di rappresentanti. Non solo un’opportunità sportiva, ma anche una leva di sviluppo sociale ed economico.

Per molti di questi Paesi, qualificarsi a un Mondiale significa attirare investimenti nelle infrastrutture, nei settori turistici e nelle scuole calcio. Ma c’è anche, e conta molto, il riconoscimento simbolico. Stare là, nel festival della globalizzazione, vuol dire affermare la propria identità sul più grande palcoscenico della narrazione collettiva del calcio e della modernità, in una connessione socioculturale che il calcio produce attraverso il suo linguaggio universale  

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Ma ogni cambiamento porta con sé un prezzo. Il rischio principale è quello dell’abbuffata. Con 48 squadre e tantissime partite il livello medio si abbassa con squilibri e più prevedibilità delle gare che favorirà qualche momento di stanca. Non a caso La Fifa ha deciso di usare il dynamic pricing, strategia che utilizza algoritmi per modificare il prezzo dei biglietti in tempo reale in base alla domanda, proprio come fanno nel settore aereo e, da poco, anche nei concerti. Insomma, i prezzi salgono con la domanda crescente e scendono quando è calante, una procedura automatizzata che contribuisce a contrastare il bagarinaggio.

C’è poi il tema del calendario: 104 partite in poco più di un mese significano stress fisico e psicologico in aumento per i giocatori, impatti ambientali più alti, e una gestione logistica complessa. In un calcio già sovraccarico di tornei e viaggi, l’idea di “più partite per tutti” rischia di diventare insostenibile.

Dietro questa ampliata formula del Mondiale si incrociano due anime: una idealista, una economica. La prima che esprime la volontà di dare voce a nuove nazioni e favorire lo sviluppo del calcio globale; La seconda disegna l’inevitabile logica del profitto, con nuovi diritti televisivi, sponsor e mercati da conquistare. Mediare tra queste due anime non sarà facile perché il confine tra inclusione e business è così sottile che il successo del progetto dipenderà dalla capacità di mantenere l’anima sportiva del “torneo di calcio”.

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Il Mondiale a 48 squadre è, in fondo, una rappresentazione plastica del nostro tempo. Un mondo sempre più interconnesso dove le diversità si incontrano in un grande laboratorio di globalizzazione del calcio. Molte promesse e alcune contraddizioni: solo se saprà mantenere la magia della competizione e la purezza del gioco, potrà davvero rappresentare il calcio del XXI secolo.

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