Caso Ranucci: è tutta una questione di vero giornalismo
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Caso Ranucci: è tutta una questione di vero giornalismo

Una riflessione sulle inchieste che danno noia, sul delicato rapporto con la democrazia e su chi tenta di dividere i giornalisti in buoni e cattivi.

Caso Ranucci: è tutta una questione di vero giornalismo
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21 Ottobre 2025 - 12.29 Culture


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di Giovanni Gozzini*

Qualche tempo fa ho citato il collettivo +972 formato da giornalisti israeliani e palestinesi e la sua inchiesta sull’intelligenza artificiale applicata dall’esercito israeliano ai bombardamenti su Gaza. Oggi devo partire da Sigfrido Ranucci. Non è questione di empatia e solidarietà: quella corrisponde a un tratto basilare di umanità che dovrebbe essere elementare. Solo alcuni esemplari della nostra razza – tutti con riporto in testa, vedi Trump, Netanyahu e Putin – sembrano esserne del tutto sprovvisti.

È questione di giornalismo, quello vero. Quando è vero, cioè non contrattato col potere, il giornalismo dà noia. Deve dare noia: sta lì per quello. Anche questo è un tratto basilare di deontologia professionale che accomuna i professionisti che stanno in trincea, in Medio Oriente come in Italia. Non so chi ha messo la bomba. So che è qualcuno a cui le inchieste di Ranucci hanno dato noia. E tanto mi basta per sapere da che parte stare.

Intendiamoci, non sempre condivido le inchieste di Report. Talvolta, su temi che cerco di conoscere meglio, mi sembrano al servizio di una tesi già preconfezionata. Ma rendono comunque conto di un pezzo di realtà con cui devo fare i conti. Posso pensare che manca una parte, di quella stessa realtà. Ma è giusto che sia così. Il giornalismo vero, appunto dà noia. Mi spinge a pensare, a contrapporre i miei argomenti, le mie conoscenze. Così funziona la democrazia. Le bombe sono un’altra cosa, contro cui la democrazia deve difendersi. Sottolineo deve. Ci saranno dei poliziotti e dei magistrati che faranno le loro inchieste e proveranno a scoprire, catturare e giudicare i colpevoli. Ma non sono altro da noi, semplici cittadini. Spetta anche a noi aiutarli e non lasciarli soli nel fare il loro lavoro. Esattamente come con i giornalisti veri.

La democrazia è importante, dentro ci si vive bene. Lo dico perché oggi alla Casa Bianca c’è uno che pensa di dividere i giornalisti tra buoni e cattivi a seconda che gli diano noia o meno. Al Cremlino c’è un altro che le bombe contro i giornalisti le fa mettere, senza sporcarsi le mani. E non mi sembra un caso che quei due si tengano sostanzialmente bordone. La democrazia è altro anche da loro. E dobbiamo difenderla. Uno dei suoi padri, che Trump nemmeno conosce, Thomas Jefferson, scriveva nel 1787 «se dovessi scegliere tra un governo senza giornali o i giornali senza un governo, non avrei esitazione a scegliere i secondi». La sua faccia sta sul monte Rushmore tra quelle di Lincoln e Washington.

*Giovanni Gozzini è professore ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena. Attualmente tiene i corsi di New Media and Globalization e Storia della Globalizzazione.

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