Tramp, il presidente dell’antisistema
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Tramp, il presidente dell’antisistema

L’ideologia nazional-populista del Presidente USA è stata la punta di diamante e la spinta a favore dei nazionalismi, dei sovranismi e dei populismi in tutti i paesi dell’Europa e dell’Occidente. La retorica del nemico.

Tramp, il presidente dell’antisistema
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21 Ottobre 2025 - 17.13 Culture


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di Marcello Flores

Che Trump rappresenti una rottura nelle pratiche e dinamiche di politica internazionale è evidente a tutti. Ma per provare a comprendere la natura e il carattere di questa «novità» bisogna partire dal suo rapporto con l’elettorato statunitense, cui ha rivolto per la prima volta atteggiamenti e terminologia da bullo, insultando gli avversari e additandoli come nemici mortali, inventando menzogne su di loro, sollecitando l’odio dei propri sostenitori fino ad appoggiare le violenze eversive che mostrarono il loro volto nella ribellione di Capitol Hill.

In questo secondo mandato Trump ha deciso di essere ancora più radicale e di dismettere le posizioni più moderate o dialoganti che aveva mantenuto nel primo per timore di apparire troppo anti-sistema. Adesso si presenta – lui, che è l’uomo più potente del pianeta – esattamente come un antisistema, come uno scassinatore dei lacci costituzionali che imbrogliano il suo potere, come un vendicatore non solo di chi è stato contro di lui ma anche dei suoi sodali di un tempo che hanno osato rivolgergli qualche critica o consiglio sgradito. E questo atteggiamento lo ha trasferito anche nelle relazioni internazionali, anche se a tratti capovolto in un atteggiamento benevolo e sorridente per intestarsi i meriti di ogni pace e del Nobel in quella materia.

Trump è stato il campione di una battaglia contro la globalizzazione e il cosmopolitismo che ha catalizzato in tutto l’occidente i ceti medi e popolari che si sentivano (e in parte erano, anche se la percezione contava di più) trascurati e penalizzati da un’economia e un commercio sempre più globali di fronte all’avanzare e migliorare di milioni e milioni di cittadini del sud del mondo che conoscevano, al contrario, un relativo benessere mai sperimentato da secoli. I bianchi occidentali privilegiati dalla modernità e dalla modernizzazione (almeno a partire dalla fine del ‘700) si sono sentiti minacciati e discriminati. L’ideologia nazional-populista di Trump è stata la punta di diamante, e la spinta, a favore dei nazionalismi, dei sovranismi e dei populismi in tutti i paesi dell’Europa e dell’occidente.

Sul terreno internazionale questa retorica del nemico si è intrecciata con una riedizione dell’imperialismo degli anni ’50 e con una rilettura in senso più radicale, riduttiva e banale, della realpolitik di Henry Kissinger: che tende, cioè, a guardare ai più forti come agli unici interlocutori, con cui bypassare allegramente tutti gli organismo internazionali creati nel secondo dopoguerra e visti ormai come un ostacolo al club di un nuovo e ridotto Congresso di Vienna con oltre due anni di ritardo. In questa logica internazionale, in cui i «valori» dell’occidente sono ridotti a ricchezza, egemonia commerciale, rapina paracoloniale, Trump ci ha messo, di suo, profondi interessi privati che s’intrecciano con quelli di altri potenti della terra. La sua vicinanza, come stile, pensiero e obiettivi, con Putin e Netanyahu è la cartina al tornasole della sua mancanza di strategia e coerenza anche solo per Make America Great Again.

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