Aggressioni, morti e guerriglia: quando lo sport diventa preda dei gruppi violenti
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Aggressioni, morti e guerriglia: quando lo sport diventa preda dei gruppi violenti

L’assurda vicenda della pietra che ha ucciso l’autista del Pistoia Basket e gli scontri tra ultras di Pisa e Verona sono solo gli ultimi gravi episodi di un clima degenerato. Una passione, quella per lo sport, che dovrebbe unire e che invece continua a dividere.

Aggressioni, morti e guerriglia: quando lo sport diventa preda dei gruppi violenti
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24 Ottobre 2025 - 21.04 Culture


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di Francesco Frati

Ogni domenica migliaia di persone affollano stadi e palazzetti per sostenere la propria squadra, mettendo energia nel tifo accompagnandolo con striscioni, cori, bandiere e un grande senso di appartenenza. Eppure, sempre più spesso, quella stessa energia degenera in rabbia e violenza. Negli ultimi giorni gli scontri tra tifosi sono tornati ad occupare le pagine dei giornali con la stessa regolarità delle partite: da quelli avvenuti in Pisa-Verona alla tragedia riguardante l’aggressione al pullman della squadra del Pistoia basket.

Tutti questi casi di cronaca hanno un fattore comune: non hanno niente a che fare con ciò che avviene in campo o nei palazzetti, non sono frutto di tensioni sportive, bensì il risultato di dinamiche sociali e identitarie molto più profonde. Oggi la tifoseria estrema non è solo passione per una squadra: per molti rappresenta un’appartenenza totale, una comunità che offre un posto sicuro in cui barricarsi.

In questo contesto ogni provocazione viene vissuta come un attacco personale e la risposta violenta diventa una forma di lealtà al gruppo, un rito collettivo che rafforza il senso di appartenenza. In diversi casi i gruppi organizzati non sono solo la “curva” ma vere reti parallele, dove si intrecciano interessi economici, relazioni politiche e logiche di potere. Alcune frange estremiste utilizzano la violenza come segno di forza e controllo del territorio, in un gioco volto a dimostrare dominanza sugli avversari, ad ogni possibilità disponibile.

L’esempio degli scontri prima della partita Pisa-Verona appartiene proprio a questa categoria. Degli ultras toscani da una parte, rinomati per essere di estrema sinistra. Basti pensare che il simbolo del gruppo organizzato Rangers, nato nel 1979, è la faccia di Che Guevara. Ultras dei veneti dall’altra, da sempre storicamente inclini a ideologie di destra ultranazionalista ed estrema, addirittura alcuni leader e membri hanno collegamenti diretti con partiti come Forza Nuova.

L’epoca digitale ha poi fatto il resto, con le piattaforme digitali che hanno moltiplicato la capacità organizzativa di questi gruppi. Chat chiuse, canali Telegram e pagine riservate sui social funzionano come camere dell’eco, dove si rinforzano idee e rancori senza nessuna controparte. È in questi spazi che si pianificano gli spostamenti, si condividono video e messaggi di incitamento, si costruisce un linguaggio comune che legittima l’odio e prepara all’azione. La violenza diventa così parte di un racconto condiviso, un modo per “esistere” nel gruppo e ottenere riconoscimento. L’anonimato, la visibilità online e la competizione interna fanno il resto: ogni gesto estremo diventa una prova di coraggio da immortalare e diffondere.

I recenti episodi di Pisa e Pistoia mostrano quanto questo fenomeno sia ormai strutturato e radicato. Non si tratta più di scoppi improvvisi di rabbia, ma di comportamenti organizzati, quasi ritualizzati, che uniscono la logica della strada a quella delle reti digitali. Per interrompere questo circuito non basta la repressione o il divieto di trasferta: servono strategie più ampie, che combinino l’azione delle forze dell’ordine con una presenza educativa e sociale nei luoghi dove il tifo si forma. È necessario anche un intervento sulle piattaforme online, per limitare la propagazione dell’odio e isolare i canali di coordinamento violento.

La violenza tra tifosi, oggi, è il sintomo di un disagio più ampio: il bisogno di appartenenza in una società frammentata, dove il gruppo diventa rifugio e la rabbia un collante tra persone.  Finché la forza continuerà a essere un modo per affermare identità e valore ogni partita rischierà di trasformarsi in qualcosa di più grande, e di più pericoloso, di una semplice sfida sportiva.

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