“Bugonia”: un mix di generi con finale a sorpresa
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“Bugonia”: un mix di generi con finale a sorpresa

Torna Lanthimos con il remake del film coreano del 2003. Ecologia, complottismo e invidia per i ricchi e potenti nella sua critica alla società americana contemporanea.

“Bugonia”: un mix di generi con finale a sorpresa
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9 Novembre 2025 - 15.22 Culture


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di Luisa Marini

Rifacimento di un film coreano del 2003, con Bugonia Lanthimos pare non sforzarsi di essere originale per forza, a parte nel finale (cui non accenneremo evitando lo spoiler), e gli spettatori si possono godere una storia che sembra semplice.

Siamo nel profondo Sud dell’America di oggi, dove l’apicoltore Teddy, dal passato sofferto, accompagnato dal cugino autistico Don, è rancoroso verso la multinazionale farmaceutica dove lavora per varie ragioni: la ritiene responsabile dell’alterazione dell’ecosistema, fa un lavoro usurante perché ripetitivo (è alla catena di montaggio della spedizione pacchi, evidente accenno ad Amazon), ma soprattutto, a causa del test con un loro farmaco, la madre è ridotta in coma. Per vendicarsi, i due ordiscono il sequestro della ricca e potente dirigente della multinazionale, accusata di essere un’extraterrestre che vuole controllare il genere umano. La lotta tra la forza e furbizia della donna e l’ingenuità unita alla malattia di mente dei due uomini riuscirà infine a salvarla.

Oltre a quello del complottismo, tornano i temi, già sviluppati nel film a episodi dello scorso anno Kinds of Kindness, del rapporto tra vittima e carnefice e della dominazione/sottomissione (lei legata esteticamente come in un bondage), con contorno di grottesco e splatter alla Tarantino: tutti riferimenti concreti ma anche metaforici dell’involuzione sociale dell’America contemporanea e della voglia di riscatto di parte della sua popolazione.  Ma, soprattutto, torna la sua attrice preferita.

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La critica parla di due Yorgos Lanthimos, uno pre e l’altro post Emma Stone. Il pre era un regista indipendente e ispirato che lavorava sui temi dell’angoscia, il post inizia a partire da La Favorita, titolo profetico in cui la sua attrice-musa appare per la prima volta, e raggiunge il culmine (per ora) con Povere creature.

Anche in questo nuovo film, la Stone guadagna un altro ruolo che la farà ricordare per la sua bravura: prima combattente e poi prigioniera rasata nella cantina della casa dei due sequestratori, tenta con loro un dialogo manipolatorio e ambivalente per salvarsi. Sta qui il cuore del film, e nell’ambientazione, che ne è il riflesso.

Gli ambienti della casa, sporchi e in disordine, sono un costante rimando alla psicologia dei due uomini; allo stesso modo, la casa e l’ufficio di lei, asettici, rimandano alla personalità della dirigente-mistress. I suoi dipendenti sono trattati come robot al suo servizio, sagome sfumate senza volto o riprese di spalle, oppure grigi e quasi inespressivi come nel caso della sua segretaria, mentre lei si veste di rosso, scarpe comprese, sorride forzatamente o fa smorfie.

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Un altro personaggio secondario, lo sceriffo che si scusa con Teddy per gli abusi da bambino, parla di normalizzazione dell’orrore di un’America che deve nascondere sotto una facciata perbenista il suo sporco, l’alienazione degli ultimi, che però servono a giustificare il potere dei potenti.

Il complottismo alla base della storia, che fa riferimento a varie teorie ma soprattutto a QAnon, maturata in circoli cospirazionisti dell’estrema destra statunitense, viene trattato da Lanthimos come giustificazione al contrasto povertà/ignoranza contro ricchezza/potere e diventa critica verso gli Stati Uniti di oggi, le cui azioni politiche sembrano mosse dall’assurdità.

Il discorso di Lanthimos in Bugonia riguarda dunque la vulnerabilità delle persone nel mondo iper-complesso (e connesso) di oggi che, per ignoranza o solo per comodità, semplicità o supposto senso di appartenenza, a volte preferiscono adottare convinzioni non fondate su dati certi e verificabili (o strumenti tecnologici come l’IA), per ridurre l’ansia derivante dall’incertezza.

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