Il potere all'assalto dei media
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Il potere all'assalto dei media

Ad acquistarli sono i ricchi imprenditori. Questo rende urgente una riflessione sulle logiche sottese e sulle possibili risposte, come suggerisce la scrittrice Valentina Tanni nel libro "Antimacchine. Mancare di rispetto alla tecnologia”

Una scena da "Good Night, and Good Luck"
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24 Novembre 2025 - 15.28 Culture


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di Giada Zona

In questi ultimi anni si è creduto che i nuovi media avrebbero dominato l’intero panorama mediale. E invece è proprio sui vecchi media, diventati  terreno di scontro,  che si giocano partite fondamentali. 

In diversi Paesi stiamo assistendo all’acquisto di testate e di reti televisive da parte di rilevanti figure pubbliche: si  consolida così la ricchezza nelle mani di pochi, tentando di orientare l’agenda pubblica e di diffondere specifiche visioni ideologiche.

In America è Larry Ellison, il fondatore della multinazionale informatica Oracle, a spingere suo figlio nel settore cinematografico con la società Skydance, che ha generato enormi guadagni. Dal cinema alla televisione il passo è stato breve: David Ellison, il figlio di Larry, ha acquistato la Cbs, una tra le più grandi reti televisive americane. Nel frattempo, il giovane Ellison pensa a quali offerte proporre a Warner Bros Discovery, proprietario del network HBO e del canale CNN. A collaborare con lui c’è l’americano Gerry Cardinale che, dopo una carriera nella finanza e nello sport, è entrato prepotentemente nel settore dei media, fino ad acquistare da solo una delle più grandi voci dei conservatori inglesi, il “Daily Telegraph”

Analoghi processi sono in atto anche in Inghilterra, dove il settimanale Spectator passa nelle mani di Paul Marshall, finanziere liberal-democratico e favorevole alla Brexit. 

Questo tentativo di tenere a bada l’opinione pubblica con  l’acquisto dei media è ancor più evidente in Ungheria, dove un gruppo mediatico fedele a Orbàn ha acquistato molte testate tra cui Blikk, il tabloid letto da 3 milioni di persone al mese in un paese di circa 10 milioni di abitanti. 

Da noi, invece, i giornali passano nelle mani degli armatori. E’ il caso dello storico quotidiano genovese “Il secolo XIX” che è stato acquistato da Gianluigi Aponte, fondatore e presidente del gruppo MSC Mediterranean Shipping Company SA. 

Questi casi sono sintomatici di un virus che si diffonde da anni nel mondo dell’informazione: i media finiscono sempre nelle mani dei più ricchi, di coloro che già detengono il potere e che occupano una posizione avvantaggiata nella società.  I media tradizionali, proprio per la loro storia,  rischiano di diventare l’espressione, seppur velata, di quegli stessi interessi dei gruppi dominanti.  

Rassegnarsi non è una buona scelta, come suggerisce la scrittrice Valentina Tanni nel suo libro “Antimacchine. Mancare di rispetto alla tecnologia” (2025, Einaudi), dove illustra il potere delle macchine e il conseguente meccanismo di riproduzione ideologica. L’autrice, considerato che le macchine non sono neutrali, ci invita a riflettere sulle tattiche per aggirare il potere.

Le macchine di cui discute Valentina Tanni sono anche i media tradizionali: il pubblico, consapevole delle logiche che muovono alcune testate – come Blikk in Ungheria – può applicare dei processi di negoziazione con gli stessi, può metterli in crisi, o può affidarsi a fonti indipendenti e tanto altro ancora. Sarebbero queste alcune delle risposte contro-egemoniche, delle tattiche per sfidare il potere.

I media tradizionali diventano un campo di battaglia non solo per gli utenti – costretti ad applicare atti di resistenza se intendono opporsi alle logiche di potere – ma tra gli stessi miliardari che li comprano e le i vendono, facendoli diventare merci di mercato e strumenti di consenso.  “Comprati e venduti”:  è il titolo di un libro di Gianpaolo Pansa nel quale si tratteggiava una situazione del tutto simile a quella d’oggi. 

Mentre tutto il mondo si digitalizza e si diffondono nuove tecnologie, i più ricchi giocano nuove partite anche sui vecchi media. Se questi resteranno nelle mani dei grandi imprenditori, e se vengono diffuse solamente determinate ideologie, l’unica difesa sarà la diversità interna alle redazioni e la lettura critica di un pubblico che non si arrende alle “macchine”.  E ponendo uno sguardo anche etnografico su come stanno cambiando le redazioni, sulle nuove professioni e sul lavoro dei giornalisti. 

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