Il Grande Torino: uomini che furono leggenda da vivi e mito dopo la morte
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Il Grande Torino: uomini che furono leggenda da vivi e mito dopo la morte

Il 4 maggio del 1949. L'aereo che li riportava a Torino dopo una partita amichevole giocata in Portogallo andò a schiantarsi sulla basilica di Superga e mise la parola fine sulla loro storia.

Il Grande Torino: uomini che furono leggenda da vivi e mito dopo la morte
La tragedia di Superga con la morte dei giocatori del grande Torino
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Giancarlo Governi Modifica articolo

4 Maggio 2023 - 09.34


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Molti anni fa, ero bambino, mio padre mi portò per la prima volta allo stadio quando giocava la Roma contro il Grande Torino. Io tendenzialmente ero romanista, perché abitavo in Trastevere dove tifavano tutti per la Roma.


Alla fine del primo tempo, la Roma vinceva 1 a 0. Al gol di Amadei (questo l’ho letto anni dopo negli almanacchi, perché ero troppo piccolo per annotarmelo), un signore accanto a me si alzò in piedi e gridò: “…e uno!” Nel secondo tempo, i granata ne rifilarono ben sette ai poveri romanisti.


Qualche mese dopo mio padre mi portò a vedere la Lazio contro il Torino. E la Lazio, con quei mostri che avevano umiliato la Roma davanti al suo pubblico, riuscì a pareggiare. E magari avrebbero pure vinto se il grande portiere granata Valerio Bacigalupo non avesse parato un calcio di rigore.


Diventai della Lazio ma conservai una grande simpatia per il quel Torino che vinceva sempre ed a cui dovevo la mia ‘lazialità che mi accompagna da tantissimi anni.


E poi ci fu la tragedia di Superga. Da quel 4 di maggio, un pezzo di cuore di tutti coloro che ripetevano a memoria la filastrocca della formazione (Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola) diventò granata.


Ed è per quella grande squadra – molti storici dicono essere stata la più grande della storia del nostro calcio – che ho gioito per il ritorno in serie A del Torino, dopo tre anni di purgatorio nella serie inferiore.
Per amore del Grande Torino, come si diceva allora e come si continua a dire dopo cinquanta anni. Un gruppo di uomini che diventarono leggenda quando erano in vita e si fecero mito quando scomparvero.
Sono passati tanti anni e chi era bambino a quel tempo, ricorda come fosse ora, il rito domenicale dei nomi dei giocatori, scanditi alla radio – che era allora l’unico mezzo di comunicazione in tempo reale – dalla voce di Nicolò Carosio: «Bacigalupo, Ballarin, Maroso… Grezar, Rigamonti, Castigliano… Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola…». Quella sequela di nomi diventava quasi una filastrocca infantile, e rappresentava una piccola ossessione, anche perché quella squadra vinceva sempre, anche contro quella nostra, del cuore, come si dice… Quei nomi, spesso, erano gli stessi della nazionale, quasi tutti. E sulle figurine stampate a colori approssimativi, che ci scambiavamo per strada, coi nostri calzoni corti, quei volti erano ormai familiari, con quella magrezza tipica del dopoguerra, quei capelli lucidi di brillantina divisi da una scriminatura, come quelli di Ossola e Gabetto, o i riccioli ribelli di capitan Mazzola, o quelli invisibili, perché coperti da un berrettaccio, di Bacigalupo, il magico portiere. Sì, quei volti erano come volti di casa, familiari e allo stesso tempo lontani, irraggiungibili, leggendari e perciò immortali come dei… Esisteva squadra capace di batterli? Macché… Una vittoria dopo l’altra, un campionato dopo l’altro, sempre «Bacigalupo, Ballarin, Maroso… Castigliano, Rigamonti, Grezar…», con lo scudetto sul petto e il pallone tra i piedi, invincibili come cavalieri discesi dal cielo… Ecco, discesi dal cielo… e dunque soltanto il cielo, per volere di altri dei, avrebbe forse potuto batterli, dominarli.

Per una incredibile serie di circostanze, talune ancora avvolte nel mistero, così avvenne e «soltanto il cielo li dominò», come dicevano le parole di una canzone nata subito dopo l’evento che sconvolse l’Italia e il mondo, quando l’aereo che li riportava a Torino dopo una partita amichevole giocata in Portogallo andò a schiantarsi sulla basilica di Superga e mise la parola fine sulla loro storia.

Era il 4 maggio del 1949.

E da quel momento, ogni volta che vedo scendere in campo le maglie granata contro la mia Lazio, il mio cuore batte ancora più in fretta e il ricordo vola a capitan Valentino Mazzola che si rimbocca le maniche ostentatamente per dire ai suoi compagni che è arrivato il momento della riscossa, e il momento per il portiere avversario di raccogliere la palla nel sacco, come dicevano i cronisti dell’epoca. Il mitico e terribile quarto d’ora granata! Bacigalupo… Ballarin… Maroso… Grezar… Rigamonti… Castigliano… Menti… Loik… Gabetto… Mazzola… Ossola…

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