Giro d'Italia, bandiera palestinese su un balcone fatta rimuovere dalla polizia: censura in salsa Trump

La polizia è salita a casa nostra per chiederci di rimuovere la bandiera della Palestina esposta sul nostro balcone privato. Non stavamo disturbando nessuno. Non stavamo violando alcuna legge.

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14 Maggio 2025 - 22.19


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“La polizia è salita a casa nostra per chiederci di rimuovere la bandiera della Palestina esposta sul nostro balcone privato. Non stavamo disturbando nessuno. Non stavamo violando alcuna legge. Stavamo semplicemente esercitando il nostro diritto di espressione in uno spazio che ci appartiene. Ci è dato a intendere che la bandiera doveva essere tolta perché il Giro d’Italia sarebbe passato proprio sotto casa nostra e la bandiera sarebbe stata inquadrata dalle telecamere nazionali”.

Con queste parole, pubblicate sui social, Sofia Mirizzi – originaria di Putignano, in provincia di Bari, ma residente in Gran Bretagna – ha reso pubblico un episodio che ha suscitato sconcerto e indignazione. La famiglia, che si trovava nella propria abitazione, ha ricevuto la visita di due agenti che, con toni definiti “gentili”, hanno chiesto la rimozione della bandiera palestinese. Nessun obbligo formale, nessun verbale: ma un messaggio chiaro e inequivocabile, che ha il sapore dell’intimidazione preventiva.

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La bandiera era esposta su un balcone privato, visibile dalla strada dove sarebbe passato il Giro d’Italia. La sua presenza non costituiva alcuna minaccia, né intralcio alla manifestazione sportiva. Rappresentava semplicemente un segno di solidarietà civile e non violenta con un popolo colpito da mesi di guerra e devastazione.

Eppure, in nome di una presunta “opportunità televisiva”, quel simbolo è stato considerato scomodo. La sua presenza poteva apparire nelle inquadrature nazionali, e tanto è bastato per indurre le forze dell’ordine a intervenire.

La rimozione è avvenuta senza resistenze, ma l’episodio resta grave. Lo è per ciò che rappresenta: un gesto di censura non dichiarata, un confine che si sposta in silenzio, trasformando espressioni legittime in questioni da contenere, o peggio ancora da nascondere.

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“Ci chiediamo con preoccupazione – scrive ancora Sofia Mirizzi – da quando esporre una bandiera che rappresenta un popolo e una causa umanitaria è diventato motivo d’intervento delle forze dell’ordine e in quale momento il sostegno civile e pacifico a un popolo sotto occupazione è diventato un problema di ordine pubblico”.

Il fatto ha suscitato una pronta reazione da parte di cittadini e forze politiche. I Giovani Democratici di Puglia e della Terra di Bari parlano di “un atto di censura preventiva che mortifica la libertà d’espressione sancita dalla nostra Costituzione”. Anche la deputata Elisabetta Piccolotti (Alleanza Verdi Sinistra) ha annunciato un’interrogazione parlamentare, definendo l’episodio “inquietante e di enorme gravità”.

In un tempo in cui la libertà di esprimere vicinanza a un popolo martoriato diventa oggetto di controllo e intervento, è essenziale ricordare che il diritto alla libertà di espressione non è un orpello, ma una delle fondamenta dello Stato democratico. Non può essere limitato per ragioni d’immagine o convenienza. È in momenti come questi che si misura la solidità di una democrazia.

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