Cinque anni senza Maradona: ascesa, declino e l’eredità del Pibe de Oro
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Cinque anni senza Maradona: ascesa, declino e l’eredità del Pibe de Oro

Dall’exploit argentino agli anni d’oro di Napoli, fino alla morte del 2020: i momenti che hanno definito la vita e l’eredità del Pibe de Oro.

Cinque anni senza Maradona: ascesa, declino e l’eredità del Pibe de Oro
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25 Novembre 2025 - 10.36 Culture


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di Francesco Frati

A cinque anni dalla morte di Diego Armando Maradona, il suo nome continua a occupare una sorta di territorio che va oltre il calcio. Il 25 novembre 2020, la notizia della sua scomparsa rimbalzò nel mondo in pochi minuti, trasformando il dolore in un rito collettivo che coinvolse generazioni diverse e continenti lontani. Oggi, ripercorrere la sua storia significa tornare dentro a un’esistenza irripetibile, fatta di lampi di genio e conquiste popolari, ma anche di rovinose cadute.

Maradona cominciò a scrivere il proprio mito ben presto: a soli 16 anni debuttò con l’Argentinos Juniors, già abbastanza per far intuire un talento fuori misura. Nel 1979 trascinò l’Argentina al Mondiale Under 20, esibendo dribbling e leadership che lo proiettarono al centro del palcoscenico internazionale. Il passaggio al Barcellona, nel 1982, rappresentò la consacrazione europea, un banco di prova complesso in cui convivevano giocate splendide ma anche infortuni gravi, come quello dovuto a un entrata killer di un avversario in una partita contro l’Athletic Bilbao che lo tenne lontano dai campi per più di 100 giorni; ma soprattutto l’istinto ribelle che ha accompagnato Diego per tutta la durata della sua carriera.

Il momento decisivo arrivò però a Napoli. Nell’estate del 1984 fu acquistato per 13 miliardi e mezzo di lire e la città lo accolse come un profeta, trasformando il suo arrivo al San Paolo in un evento che ancora oggi appartiene alla memoria collettiva. Con Maradona, la squadra partenopea cambiò dimensione: lo scudetto del 1987, il primo della storia del club campano, divenne un gesto di liberazione sportiva e sociale, oltre ad un indelebile ricordo ancora fresco nelle menti di tutti i tifosi che hanno vissuto quel momento.

Oltre che un trofeo fu anche un vero e proprio capovolgimento delle gerarchie italiane, abituate a vedere trionfare a ruota sempre Juventus, Inter e Milan; seguirono la Coppa Uefa e un altro scudetto, ma soprattutto si formò un legame indissolubile tra il Pibe de Oro e una città che trovò in lui la propria rivalsa.

Gli anni napoletani, però, furono anche segnati da vita notturna, da dipendenze e una squalifica nel 1991 causa positività ad un controllo antidoping che aprì la fase discendente della sua carriera.

L’apice assoluto della sua vita calcistica rimane il Mondiale di Messico ’86, in cui Maradona fu più di un fuoriclasse: 5 goal e l’assist decisivo in finale, un uomo capace di decidere da solo il destino della squadra. La mano de Dios contro l’Inghilterra, seguita pochi minuti dopo dal “gol del secolo”, ne sintetizza la doppia anima: genio e sregolatezza, trasgressione delle regole e raffinata arte calcistica.

L’Argentina vinse ma, soprattutto, Maradona si trasformò in un’icona mondiale, mancando il Pallone d’Oro solo perché in quegli anni era in vigore una regola che impediva l’assegnazione a calciatori di nazionalità extra-europea.

Gli anni successivi al periodo napoletano furono invece un lento declino. Tra Siviglia, Newell’s e Boca Juniors, il corpo cominciò a non reggere più il peso del mito. Infine, la stangata finale al Mondiale USA ’94, in cui dopo un avvio promettente arrivò un’altra squalifica per un altro controllo antidoping risultato positivo, segnando la fine della sua avventura con la nazionale. Mentre, gli anni da allenatore, tra Argentina, Emirati e Messico, hanno più volte mostrato il lato fragile di Diego, a partite dal fisico non più capace di reggere certi ritmi.

La morte, avvenuta il 25 novembre di cinque anni fa, chiuse una parabola che sembrava non poter mai davvero finire. Reduce da un’operazione al cervello e da una complicata degenza domiciliare, il Pibe de Oro si spense in circostanze che aprirono un’inchiesta lunga e controversa sulle responsabilità mediche e ancora oggi non chiare del tutto, tra dichiarazioni di figli, legali e foto che non sarebbero dovute diventare di dominio pubblico.

Ciò che però rimane nella memoria di tutti sono le immagini delle folle in Argentina, le veglie spontanee, i murales nati ovunque nel mondo a raccontare un dolore globale raramente riservato a figure sportive.

Cinque anni dopo, Maradona resta un personaggio divisivo, a cavallo fra il mito e la debolezza umana. Dio del calcio per alcuni, ribelle per altri, per tutti sicuramente un protagonista assoluto della cultura del Novecento, con un’eredità che continua e continuerà a fare eco negli stadi. Maradona ha, infatti, rappresentato qualcosa di più grande del talento, ovvero l’idea che il calcio potesse essere una forma di liberazione, di sfida , di riscatto sociale e di appartenenza.

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