Verso il 5 Novembre: in tanti, con Papa Francesco e Gino Strada nel cuore
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Verso il 5 Novembre: in tanti, con Papa Francesco e Gino Strada nel cuore

Le adesioni crescono. In quantità e qualità. Per fare della manifestazione nazionale del 5 Novembre a Roma un evento “indimenticabile”.

Verso il 5 Novembre: in tanti, con Papa Francesco e Gino Strada nel cuore
Manifestazione per la pace
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Ottobre 2022 - 16.26


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Le adesioni crescono. In quantità e qualità. Per fare della manifestazione nazionale del 5 Novembre a Roma un evento “indimenticabile”.

Con Papa Francesco

Il Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi aderisce alla Manifestazione nazionale per la pace che si svolgerà a Roma il prossimo 5 novembre.
“Insieme con Papa Francesco – afferma Flavio Lotti, coordinatore della Marcia PerugiAssisi, chiediamo: Cosa deve ancora succedere prima che si decida di fare qualcosa per fermare la guerra?
L’escalation della guerra in Ucraina sta diventando sempre più devastante e minacciosa. Sull’Europa incombe lo spettro della bomba atomica. Gli italiani diventano sempre più poveri e vulnerabili.
Il 2 ottobre Papa Francesco ha rinunciato al commento del Vangelo per lanciare un nuovo drammatico appello. Per la prima volta si è rivolto direttamente al Presidente della Federazione Russa, al Presidente dell’Ucraina e a tutti i responsabili delle Nazioni e della politica internazionale.
Noi chiediamo al nuovo Parlamento e al nuovo Governo di rispondere all’Appello del Papa dando corpo ad un piano d’azione per far tacere le armi e “avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili.


Non vogliamo nemmeno pensare che di fronte alle drammatiche emergenze sociali che stanno esplodendo, alle disperate richieste di aiuto che tutti i giorni salgono dai giovani, dagli impoveriti, dai disoccupati, dalle famiglie e dalle imprese ci sia qualcuno che continuare ad arricchire i costruttori e venditori di armi. Gli italiani hanno bisogno urgente di cure e non di bombe!


Per questo invitiamo tutte le donne e gli uomini che vogliono la pace a partecipare alla manifestazione del prossimo 5 novembre. Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace”.

 L’ombra della guerra atomica si stende sul mondo 

Globalist si fa voce di questa mobilitazione e ripropone la piattaforma dell’iniziativa: La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati. La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto  e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future. 

Questa guerra va fermata subito 

Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime. Siamo con chi rifiuta la logica della guerra e sceglie la nonviolenza. 

L’inaccettabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato nel cuore dell’Europa la guerra che si avvia a diventare un conflitto globale tra blocchi militari con drammatiche conseguenze per la vita e il futuro dei popoli ucraino, russo e dell’Europa intera. Siamo vicini e solidali con la popolazione colpita, con i profughi, con i rifugiati costretti a fuggire, ad abbandonare le proprie case, il proprio lavoro, vittime di bombardamenti, violenze, discriminazioni, stupri, torture. 

Questa guerra va fermata subito. Basta sofferenze. L’Italia, l’Unione Europea e gli stati membri, le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco. È urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto, mettendo in campo tutte le risorse e i mezzi della diplomazia al fine di far prevalere il rispetto del diritto internazionale, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta. Insieme con Papa Francesco diciamo: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”. 

L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra. 

Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e di finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso. 

Occorre garantire la sicurezza condivisa. 

Le guerre e le armi puntano alla vittoria sul nemico ma non portano alla pace: tendono a diventare permanenti ed a causare solo nuove sofferenze per le popolazioni. Bisogna invece far vincere la pace, ripristinare il diritto violato, garantire la sicurezza condivisa. Non esiste guerra giusta, solo la pace è giusta. La guerra la fanno gli eserciti, la pace la fanno i popoli. 

L’Italia, la Costituzione, la società civile ripudiano la guerra. Insieme esigiamo che le nostre istituzioni assumano questa agenda di pace e si adoperino in ogni sede europea ed internazionale per la sua piena affermazione” 

La forza della non violenza

Mao Valpiana è  Presidente del Movimento non violento, membro dell’Esecutivo  di Rete Italiana Pace e Disarmo,  è anche direttore della rivista Azione non violenta, fondata nel 1964 da Aldo Capitini.

 Scrive Valpiana: “La richiesta del ministro ucraino Kuleba “dateci armi, armi, armi”, mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Trivulzio al Re Luigi XXII: «per vincere una guerra ci vogliono soldi, soldi, soldi».
Sì, perché la guerra non la vince chi ha ragione (in questo caso l’Ucraina), ma chi ha più capacità distruttiva (vedremo alla fine, quando fine ci sarà, se l’esercito russo o gli armamenti della Nato). Infatti il Segretario generale Stoltenberg ha detto: «Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine e ora gli alleati stanno dando equipaggiamenti per sostenervi nella difesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti e altro». Ma al governo ucraino questo non basta ancora e gli ha dato dell’ipocrita: «Chi dice vi do armi difensive ma non offensive è un ipocrita. La differenza tra armi offensive e difensive non dovrebbe avere senso nel mio Paese, perché ogni arma usata in Ucraina dalle forze ucraine contro un aggressore straniero è difensiva per definizione».


In fondo ha ragione, anche l’utilizzo di armi tattiche nucleari, se usate per fermare o rispondere all’aggressore, può essere definito “difensivo”. E così, tolto il velo ipocrita alla distinzione tra armi offensive o difensive, siamo arrivati dritti al punto centrale della questione “à la guerre comme à la guerre”, in una escalation continua, nella guerra giusta, fino alla vittoria contro il nemico infame. È la logica di tutte le guerre, così terribilmente tutte uguali a se stesse, giuste o sbagliate che fossero.


Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione.
Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma.


Il governo di Zelensky chiede all’Europa più armi per difendersi, dicendo sostanzialmente «se noi fermiamo i russi, ci guadagnate anche voi, altrimenti se noi soccombiamo, poi arriveranno anche a casa vostra». Dunque pagateci le armi più micidiali possibile, così combattiamo anche per voi.
All’Europa non par vero di garantire profitti alle varie industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Se il governo chiede armi, armi, armi, altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo” e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque non esiste una sola richiesta bellica, e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e il suo esercito, così come non c’è una sola resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. È possibile e realistica una scelta simile?

La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, cosa sarebbe accaduto?


Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il governo, con i sindacati, avesse dichiarato immediatamente lo sciopero generale e totale di tutti i lavoratori ucraini, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? Cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? Fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare?
Un popolo indisponibile, pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore, è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta; se vi fosse stata una leadership preparata.

Non è utopia, nella storia è già avvenuto. «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine», sono le parole del partigiano Sandro Pertini diffuse dalla radio della resistenza italiana; lo stesso Pertini che quando diventò Presidente della Repubblica disse: «Si vuotino gli arsenali, sorgente di morte, si riempiano i granai, sorgente di vita».
Se al posto del nazionalista in tuta mimetica Zelensky, il popolo ucraino fosse stato guidato da un nazionalista spirituale come Gandhi, ma altrettanto determinato a salvare il suo popolo, a che punto saremmo oggi? In Ucraina c’è chi ha proposto e tentato questa strada, ci sono gli obiettori di coscienza che resistono senza prendere le armi, ma sono un’infima minoranza, inascoltata, censurata, nascosta. Il governo ucraino ha considerato solo la risposta militare, bellica, di scontro sul campo. Le armi della Nato aumenteranno la potenza di fuoco, a cui la Russia risponderà con nuove stragi e nuovi orrori. Alla fine forse l’Ucraina vincerà, ma a che prezzo? E se perderà? Quali saranno le conseguenze? 
Accettare di scendere sul terreno dello scontro armato, della guerra, comporta questi rischi, e alla fine si fa la conta dei morti.
Resistere civilmente, con la nonviolenza attiva, è ugualmente rischioso, ma alla fine si fa la conta dei salvati”.
 In ricordo di un utopista pragmatico

  • I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi
  • Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra.
  • Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia
  • Mine giocattolo, studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, ancora oggi ho difficoltà a capire.
  • Una promessa è un impegno, è il mettersi ancora in corsa, è il non sedersi su quel che si è fatto. Dà nuove responsabilità, obbliga a cercare, a trovare nuove energie. 
  • L’importante è capire fino in fondo che se ci sono persone che hanno bisogno di essere curate questo vada fatto.
  • Le vittime di una guerra, qualsiasi guerra, sono sempre i civili, che non hanno colpe. Ecco perché la guerra è sbagliata in sé
  • È giusto soffrire di più o di meno in base alla disponibilità del nostro conto corrente? Io lo trovo disumano
  • L’interesse di uno solo non può andare a discapito di tutti. Ecco perché non so se da questa epidemia ne siamo usciti davvero migliori: perché per qualcuno la vita di una persona non vale niente, oppure poco. Per me una vita, invece, vale tutto
  • È trovandoci di fronte ogni giorno la sofferenza di altri esseri umani, che abbiamo iniziato a maturare l’idea di una comunità in cui i rapporti siano fondati sulla solidarietà e il rispetto. Una società che faccia a meno della guerra. Per sempre
  • Credo che la guerra sia una cosa che rappresenta la più grande vergogna dell’umanità. E penso che il cervello umano debba svilupparsi al punto da rifiutare questo strumento sempre e comunque in quanto strumento disumano

Così Gino Strada, un grande utopista pragmatico. Uno che gli effetti della guerra li ha vissuti sul campo, con la “sua” Emergency, curando le tante e  i tanti civili che delle guerre, di tutte le guerre, sono le principali vittime.  Il 5 Novembre sarebbe stato in piazza. Ci sarà comunque, perché le sue idee, i suoi insegnamenti, non moriranno mai. 

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