Benedire le coppie gay: la forza di Francesco nel riconoscere l'umanità a tutti
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Benedire le coppie gay: la forza di Francesco nel riconoscere l'umanità a tutti

Se la verità di fede viene presa nella sua assolutezza la Chiesa diverrebbe, o tornerebbe ad essere, un giudice eterno al di fuori e al di là della storia. Bergoglio percorre un'altra strada

Benedire le coppie gay: la forza di Francesco nel riconoscere l'umanità a tutti
Papa Francesco
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

20 Dicembre 2023 - 23.33


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Mi colpisce, un po’, la mancanza di commenti dal mondo secolare sulla Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Fiducia Supplicans”, un atto ufficiale ed evidentemente importante. E’ chiaramente rivolto solo ai credenti, sulla base della dottrina cattolica. Per la Chiesa è un fatto di assoluto rilievo perché per trovare un altro simile pronunciamento occorre ritornare ai tempi del Cardinale Prefetto Joseph Ratzinger, che firmò la Dichiarazione “Dominus Jesus, il 6 agosto del 2000. Un altro criterio oggettivo per valutarne l’importanza è il fatto che  corregge un altro pronunciamento, di minor rilievo formale, di segno inverso e risalente a soli due anni fa. Quel pronunciamento con cui si asseriva che non si potevano benedire, ove richiesti in tal senso, coppie irregolari o omosessuali che ne facessero richiesta. 

Quel “no” fu molto citato dal mondo secolarizzato. Perché questo passo, assai più elaborato e impegnativo, viene commentato di meno? Questa logica per cui mi piace vedere ciò che mi allontana dall’altro è infantile, primitiva, rozza. Ma non è il fatto in sé, la possibilità di dare questa benedizione chiaramente definita non liturgica e che quindi non comporta alcun riconoscimento di quell’unione  che va apprezzato. Sono alcune motivazioni a indurmi a dire che una discussione “laica” sarebbe decisiva. E il motivo decisivo per noi, secolarizzati, è questo, espresso al punto 25 della Dichiarazione: “ La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari, soprattutto quando danno «luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». Perciò, quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale”. 

Al di là di quanto espressamente affermato mi sembra che in prospettiva si possa vedere una riconsiderazione del giudizio cattolico (catechismo) per cui  l’omosessualità sarebbe una inclinazione “oggettivamente disordinata”, mentre  le unioni irregolari si collocherebbero  nella più ampia categoria che distingue errore ed errante: la scelta comunque è quella di ritenere il bene sempre lo stesso, quello che la fede proclama da sempre, ma nella consapevolezza che il bene è un obiettivo e va cercato sempre. Al trono del giudice subentra l’amicizia di chi ci accompagna senza la pretesa di imporci sempre e comunque la sua perfezione. Dunque il bene può rimanere sempre il nostro obiettivo, da ricercarsi comunque nella complessità della vita, chiedendo aiuto. Direi: la realtà è superiore all’idea, cioè la persona e la sua realtà vengono prima di tutto.   

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Ogni dottrina ha la sua verità. Ma la visione “misericordiosa” di Francesco apre le porte all’essere umano e quindi alla complessità della vita. Se la verità di fede viene presa nella sua assolutezza la Chiesa diverrebbe, o tornerebbe ad essere, un giudice eterno al di fuori e al di là della storia.  E’ quello che la Dichiarazione definisce “elitarismo narcisista e autoritario”. Il fatto importante, decisivo,  è in uno sviluppo possibile: come non è perduto chi abbia  “sbagliato” il proprio matrimonio, così non è perduto chiunque la pensi e voglia testimoniare una sua convinzione diversa dalla mia. E’ in buona fede, come me, non può essere escluso per “imperfezione morale”. Il Dio misericordioso di Francesco apre anche altre porte, perché se siamo diversi il Dio misericordioso ci dice che è stato per sua volontà.  

Dunque cosa significa, in concreto,“non richiedere una previa perfezione morale”? Vuol dire, quanto meno, che aveva ragione Giovanni XXIII a distinguere tra errore e errante. Io posso non ritenere di essere in errore, ma questa distinzione mi aiuta ad accettare di poter vivere insieme con chi proclama una verità, ma lo fa senza pretendere quella che ritiene una perfezione morale e quindi pronto ad imporre anche a me la sua verità, sempre e su tutto. Se un’ entità lontana dal mio modo di pensare e vedere il mondo e le sue cose come un’entità che si chiama “Congregazione per la Dottrina della Fede” sancisce un principio così importante, decisivo, che si può essere benedetti senza una previa perfezione morale, io non posso che pensare che siamo davanti a un fatto importante: questa Chiesa può proclamare la sua verità senza ritenersi obbligata  ad imporla. Capisco che qualcuno può ritenere le aperture concrete che la Dichiarazione fa “un contentino”, lo capisco perché ognuno può vedere con assolutezza la sua verità. 

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Mi ricordo anni fa altre simili “Congregazioni” discutere della liceità di scrivere senza trattino il termine “marxismo-leninismo”. Perché? Perché doveva essere chiaramente percepito come un corpus unico, senza sviluppi, cambiamenti, modifiche, incrinature, possibili interpretazioni diverse o in sviluppo possibile. Dunque ogni eccezione, ritocco, era inammissibile, la verità è assoluta. La dottrina non poteva prevedere alcun “aggiornamento” (termine che nel mondo cattolico tutti, anche conservatori, accettano quando discutono di cosa abbia fatto il Concilio Vaticano II). No, anche l’aggiornamento era fuori dall’universo possibile, ammissibile, dal pensiero o dalle masse fedeli al “marxismo-leninismo”. Per questo si era chiaramente fuori da un cammino pluralista. Ma non è l’unico esempio possibile. 

Anche la teoria della fine della storia ( punto che avrebbe meglio capito e studiato perché come c’è stata la preistoria può esserci una post-storia) aveva una sua visione non pluralista: l’economia di mercato è l’unica possibile, chi pensi anche ad un suo “aggiornamento” è fuori dal mondo, dalla realtà e dall’umano.

La distrazione con cui il mondo secolarizzato ha seguito questo confronto, al di là della difficoltà per noi di confrontarci con il concetto di “grazia” e con il senso di una “benedizione”, è sorprendente e dolorosa. Ma quando parliamo di questa benedizione pastorale e non liturgica, di cosa esattamente parliamo? 

Farei un esempio non per chi vive dentro la Chiesa, loro hanno il quadro più chiaro. Diciamo che è un po’ come quando si passava a benedire le case sotto Pasqua. Era un aiuto, dal punto di vista del credente, non un riconoscimento di santità del luogo. Non si chiedeva il certificato di matrimonio degli inquilini o dei proprietari prima di entrare: si entrava comunque. Provo a fare un esempio più asettico, “umano”. Quando ero ragazzo, magari ventenne, prendevo delle decisioni che a mio padre non piacevano. Viaggi avventurosi, con compagnie per lui non raccomandabili. Ma quando partivo e lo salutavo nell’ingresso di casa non mi negava un bacio affettuoso. E questa sua scelta mi aiutava ad essere più responsabile, non meno. Non c’era a suo avviso una “perfezione morale” nella mia scelta di accompagnarmi con quelle persone che ai suoi occhi apparivano non raccomandabili, diciamo così. Ma riconoscendo il mio diritto ad essere me stesso, nella mia realtà, senza condividere il mio comportamento, mi aiutava a trovare e considerare l’importanza della responsabilità nel mio comportamento, nella situazione in cui oggettivamente vivevo.  

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E’ solo un esempio, abbastanza stupido, per rapportarsi all’idea di Dio. E’ il giudice severo, supportato da feroci pubblici ministeri pronti a indicare in me il reprobo da punire, o è il Padre misericordioso che mi aiuta, come mio padre nell’ingrosso di casa quando partivo? Mi aiuta, o mi condanna con il suo giudizio che non ha appello? 

La cultura “laica”, almeno tempo fa, proprio per l’assenza di Dio molto spesso veniva giudicata “severa”, non contemplando la misericordia del Padre ci avrebbe lasciati da soli con la irrimediabilità della colpa, dell’errore. Qui c’è del vero che deve farci riflettere, perché alcuni eccessi di rigore hanno portato all’odierno lassismo. L’indisponibilità a capire un piccolo errore ci ha portato a giustificare tutto, o quasi.

Ora Francesco proponendoci questa visione non cambia la dottrina della sua Chiesa, fa molto di più. Cambia il modo di rapportarsi con l’essere umano. La verità secondo la Chiesa, è sempre che il matrimonio è indissolubile e solo tra un uomo e una donna. Ok. Ma se io ho fallito il mio matrimonio posso chiedere di essere aiutato mentre vivo in un nuovo rapporto sentimentale? Non chiedo legittimazioni, ma solo di essere comunque aiutato. Posso cercare Dio nella mia condizione di credente che ha fallito o mi è proibito rialzarmi? E se sono omosessuale e cerco Dio nella mia vita perché Dio dovrebbe rifiutarmi il suo sorriso amicale? 

Ogni approccio, ogni visione, può avere il suo intransigentismo. C’è una laicità intransigente, una fede in Dio intransigente, un marxismo-leninismo intransigente, un liberismo intransigente. Poi c’è la realtà della vita, nella quale la proposta di Francesco si colloca. E per me la sua forza è nel riconoscere a tutti l’umanità! Di questo la cultura secolarizzata e pluralista dovrebbe dargli merito e cercare un nuovo dialogo, per migliorare le nostre possibilità di vivere insieme.  

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