Papa Francesco e la sfida della pace nel XXI secolo
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Papa Francesco e la sfida della pace nel XXI secolo

Papa, difendendo la pace, sottolinea la necessità di negoziare senza condizioni, contrastando la riabilitazione globale della guerra.

Papa Francesco e la sfida della pace nel XXI secolo
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18 Marzo 2024 - 00.54


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di Antonio Salvati

I Papi, nel Novecento non hanno mai esitato nel condannare fermamente la guerra, definendola di volta in volta come «un flagello» (Pio XII), o come «un’inutile strage» attraverso la quale tutto può essere perduto, e che in definitiva «è sempre una sconfitta dell’umanità» (Benedetto XV). Una barbarie, che «mai» risolve i problemi e i conflitti tra gli Stati (Paolo VI). Nel corso della sua secolare storia il papato non è stato sempre al servizio della pace, ma la sua lunga storia lo ha spinto sempre di più a svolgere un ruolo unico per la pace: non ci sono altre voci autorevoli che, come la sua, si spendono senza interessi di parte per la pace nel mondo e l’unità della famiglia umana.  Durante il XX° secolo è cresciuta nel papato di Roma l’avversità teologica e pastorale per la guerra al punto da dichiarare che non esiste “guerra giusta”.

La guerra, afferma papa Francesco, «non è mai giustificata. Infatti non sarà mai una soluzione: basti pensare al potere distruttivo degli armamenti moderni per immaginare quanto siano alti i rischi che una simile contesa scateni scontri mille volte superiori alla supposta utilità che alcuni vi scorgono».

Oggi, continua, «assistiamo a una guerra mondiale a pezzi, che tuttavia minacciano di diventare sempre più grandi, fino ad assumere la forma di un conflitto globale». Sono parole decisamente controcorrenti in un tempo in cui la guerra sembra riabilitata come strumento per raggiungere i propri obbiettivi o risolvere i conflitti. La pace è troppo spesso considerata un sogno da anime belle o un’utopia del passato. Le parole e i ragionamenti di pace sembrano spenti e inadeguati.

Del resto, va osservato come le guerre siano sempre più complesse, a lungo perduranti, refrattarie a spiegazioni semplici e globali.  Inoltre, in due anni poi sono scoppiate nuove guerre. In Sudan, da quasi un anno c’è una guerra civile e un milione e mezzo di sudanesi si sono rifugiati all’estero. Il 7 ottobre scorso, l’attacco terroristico di Hamas a Israele ha violentemente riaperto il conflitto israelopalestinese. In Africa, si è allargata la contrapposizione di vari Paesi all’Occidente con la conseguente apertura alla presenza militare russa, come la Guinea Conakry, il Burkina Faso, il Niger, tutti guidati da militari. Altre crisi sono aperte nel resto del mondo, restando senza soluzione, come nel caso della Siria, un Paese martoriato da più di dieci anni di combattimenti sanguinosi. Il mondo non è solo segnato da gravi crisi, ma – come ha affermato Andrea Riccardi -sembra inoltrarsi sempre più verso la riabilitazione dello strumento della guerra e l’acquiescenza della coscienza e della politica internazionale a questo fenomeno. Un tempo in cui i discorsi bellicosi si moltiplicano e si è smarrita la pace come orizzonte delle relazioni tra i Paesi.

I papi non si schierano, né chiamano alla resa di una parte rispetto all’altra: chiedono sempre e soltanto la cessazione delle ostilità e che si torni a parlare. Il recente discorso della bandiera bianca di Papa Francesco, che ha provocato non poche critiche, segue la tradizione della chiesa cattolica e dei suoi predecessori dell’ultimo secolo, cercando di scuotere scuote la coscienza dell’occidente. In realtà, il papa ha a cuore la salvaguardia delle vite umane, tutte, e – ha osservato Mario Giro – teme che gli ucraini siano prima o poi abbandonati e sappiamo di quanto è capace l’egoismo occidentale. «L’orrore ha scritto Andrea Malaguti – è simmetrico. Dalla distruzione non si salva nessuno. Buttiamo via esistenze come se ci scrollassimo di dosso le briciole dopo un’abbuffata di pane. Nella palude del dolore ci sembra tutto uguale e intanto seppelliamo generazioni intere. Per non vedere cerchiamo sistemi che anestetizzino le coscienze. Pensiamo ad altro per non finire risucchiati dal buco nero del nulla eterno».

Recentemente la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto che calcola il totale dei danni subìti dall’inizio della guerra al 31 dicembre 2023: la ricostruzione costerà quasi 500 miliardi di dollari in dieci anni. E le autorità ucraine per tenere in piedi l’economia di un Paese in guerra sono costrette a riservare, nel budget 2024, il 22% delle spese preventivate alla difesa, senza tralasciare quelle relative alle ricostruzioni più urgenti senza dimenticare i settori industriali e i servizi non direttamente legati allo sforzo bellico, ma necessarie per una popolazione chiamata a resistere a un conflitto che rischia di durare anni. E la Russia possiede tempo e risorse (umane e materiali) abbondanti. Ha riconvertito la propria economia e si è adattata.

Pertanto, l’invito del Papa alla negoziazione non significa cedere alla resa. Invocare incessantemente il cessate il fuoco non è schierarsi col Male. Iniziare a parlare finché si è in tempo, senza porre condizioni. Ciò ha un costo, soprattutto per gli ucraini, ma la pace vale di più. Un invito prudente e lucido calcolo prima di perdere tutto. La vittoria non è l’unica soluzione per ottenere la pace, ci sono possibilità intermedie. Il pericolo è tutto per gli ucraini che si stanno dissanguando senza che si veda la fine di tale massacro. La soluzione non è mai improvvisa e meccanica. Mario Giro ha scritto che questo nostro tempo è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”, per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita».

Il Papa ascolta il grido di pace dei popoli martoriati dalla guerra, mette in movimento le persone e le coscienze, fa maturare idee, sentimenti e speranze. ««Non siamo consegnati – afferma Riccardi – a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben aldilà dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». Non si può lasciar scivolare il mondo verso una guerra più grande. Ci sono ancora nel mondo – aggiunge Riccardi – tante potenzialità diplomatiche, intellettuali, umane, spirituali, per ricostruire le relazioni internazionali nel senso della pace, per costringere chi fa la guerra a fermarsi e mostrare ai piccoli e ai grandi che la pace è l’interesse comune. La storia non è uno spartito già scritto. La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra.

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