Un Papa ”parroco” e uomo di pace che amava stare in mezzo alla gente
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Un Papa ”parroco” e uomo di pace che amava stare in mezzo alla gente

Da questo punto di vista la battuta che più lo sintetizza è quella sugli omosessuali: chi sono io per poter giudicare?

Un Papa ”parroco” e uomo di pace che amava stare in mezzo alla gente
Giovanni Paolo II
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21 Aprile 2025 - 11.54 Culture


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di Giovanni Gozzini

Papa Francesco è stato un papa molto particolare nella storia della Chiesa cattolica, perché è stato un papa-parroco. Cioè un papa che intrattiene con i fedeli un rapporto umano, di conoscenza e scambio. Non è stato un papa teologo come Paolo VI o Ratzinger. Né un papa militante come Giovanni Paolo II.

Il predecessore che più gli si avvicina, in tal senso, è stato papa Luciani ma per un tempo troppo breve. Il tratto di fondo del parroco è il sistematico non-ricorso al potere della carica e dell’istituzione. Da questo punto di vista la battuta che più lo sintetizza è quella sugli omosessuali: chi sono io per poter giudicare? È una domanda che non sarebbe mai potuta venire in mente a un qualsiasi altro suo predecessore, ossessionato dalla differenza (e dalla responsabilità) che il ruolo formale assegna a un papa rispetto, appunto, a tutti gli altri esseri umani comuni. Ma per papa Francesco la differenza non esisteva. E questa sua particolarità era motivo di scandalo per molti: i tanti cristiani fragili che hanno bisogno di farsi guidare da un’autorità indiscutibile. Il vicepresidente degli Stati Uniti è uno di loro: fanatico come talvolta sono i convertiti, feroce nemico di papa Francesco e del Concilio Vaticano ii, di qualsiasi commistione tra la chiesa e il mondo, tra religiosi e laici.

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Credo di non sbagliarmi se penso che papa Francesco abbia accettato alla fine di riceverlo perché si sentiva ormai prossimo alla fine e un’ultima opera buona non si nega a nessuno. Così ragiona un parroco, non il papa. E come un parroco qualunque anche a Francesco è venuto meno il respiro per la falsa ipocrisia di Vance che diceva di pregare ogni giorno per lui quando entrambi sanno che è vero il contrario. Vance come migliaia di altri cristiani suprematisti degli Stati Uniti seguiva la teologia della prosperità cioè quella del fariseo che siede in prima fila e ringrazia per non essere come il pubblicano povero e disprezzato che siede in ultima fila. La miseria morale dei cattolici tradizionalisti di Dio, patria e famiglia, cui appartiene Vance, è quella di non porsi mai quella famosa domanda: chi sono io per giudicare? La conseguenza è che giudicano ogni giorno, condannando senza appello chi non è come loro.

Chi è povero come i palestinesi di Gaza, chi è senza carte in mano come Zelenski, chi è un delinquente naturale come ogni migrante. Questa è la fede tronfia dei ricchi farisei, sepolcri imbiancati privi di compassione, pieni solo di se stessi. Papa Francesco era di un’altra pasta. Solo i poveri di spirito possono incasellarlo nelle etichette della politica: un papa di sinistra, sostenuto da Martini contro Ratzinger al penultimo conclave. Non c’entra quasi nulla. Come lui stesso si definì all’inizio: vengo dalla fine del mondo. All’epoca tutti pensarono all’Argentina. Ma lui – adesso ce ne accorgiamo – voleva anche dire un’altra cosa: vengo dalle strade di Buenos Aires, sto tra la gente e mi considero uno di loro, non sono a mio agio in sacrestia e nelle stanze del potere. Sono un parroco. Sto coi palestinesi, con gli ucraini e coi migranti perché loro sono la mia gente. E sono la mia gente semplicemente perché soffrono. Il mio posto è con loro. Seguo Gesù, non i farisei.

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