Con Papa Leone XIV la Chiesa sceglie pace, disarmo e indipendenza dalle destre violente
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Con Papa Leone XIV la Chiesa sceglie pace, disarmo e indipendenza dalle destre violente

Le prime parole di Papa Leone XIV, l’ex cardinale statunitense Robert Francis Prevost, hanno già delineano un programma politico: pace, disarmo, inclusione.

Con Papa Leone XIV la Chiesa sceglie pace, disarmo e indipendenza dalle destre violente
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Giovanna Musilli Modifica articolo

9 Maggio 2025 - 14.30


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Le prime parole di Papa Leone XIV, l’ex cardinale statunitense Robert Francis Prevost, hanno già delineano un programma politico: pace, disarmo, inclusione. Occhi lucidi di commozione, tono gentile e sorriso rassicurante hanno accompagnato un discorso programmatico denso e vigoroso. 

Il nuovo Papa ha parlato di “pace disarmata e disarmante”, di dialogo, di accoglienza dell’altro, non mancando neppure di sottolineare la continuità che sente rispetto al pontificato di Papa Francesco. 

Del resto, la stessa scelta del nome è significativa: Leone XIII fu il Papa che nel 1891 scrisse l’enciclica Rerum Novarum, atto fondativo della dottrina sociale della Chiesa, in cui, al di là della condanna del socialismo, si parla di dignità del lavoro, di salario decoroso, di responsabilità dello stato nei confronti delle fasce più disagiate della popolazione. In un periodo storico di grandi trasformazioni socio-economiche e culturali, dalla seconda rivoluzione industriale allo “spettro” comunista che si aggirava per l’Europa, Leone XIII fu in grado di comprendere la necessità che il cattolicesimo si aprisse alle istanze della modernità. 

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Dopo il pontificato politicamente impegnato di Francesco, il pericolo che la Chiesa di ripiegasse su se stessa, optando per un Papa conservatore più interessato alla teologia che alle contingenze del mondo, era tutt’altro che trascurabile. In effetti, c’è chi ha parlato di “guerra intestina” all’interno della Curia durante tutti i 12 anni di pontificato di Bergoglio. Ma la Chiesa ha saputo nuovamente sorprendere bookmaker ed esperti che da giorni avevano escluso Prevost dai papabili. D’altronde, se è la multinazionale più longeva di sempre, qualche motivo ci sarà.

La maggioranza del Conclave ha evidentemente compreso che, mentre il mondo va in fiamme e dilagano le destre più violente e retrograde, l’umanità ha bisogno di una voce autorevole che invochi la pace, il disarmo, e l’integrazione. I credenti potrebbero vederci lo zampino dello Spirito Santo.

Non a caso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva brigato per avere un Papa americano, raccomandandosi, però, che non fosse Prevost, bensì il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, molto vicino alle politiche trumpiane. Da questo punto di vista, il voto dei cardinali può essere interpretato come un significativo segnale di autonomia: va bene un Papa americano, ma non certo un Papa trumpiano. 

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La scelta è ricaduta proprio sul cardinale che pochi mesi fa aveva garbatamente bacchettato J.D. Vance, dandogli una lezione d’amore cristiano. Il neoconvertito vicepresidente degli Stati Uniti, infatti, è sostenitore di una bizzarra teoria morale, secondo la quale l’amore cristiano si deve indirizzare in primo luogo verso i propri familiari, poi verso gli amici, poi verso i connazionali e infine verso le persone più lontane, secondo cerchi concentrici via via più distanti. Questa concezione, strumentale a giustificare le politiche identitarie e xenofobe di matrice trumpiana, ricorda più una dottrina ciceroniana di ispirazione stoica – sicuramente ignota a Vance – che la dottrina della carità cristiana. Di certo, quando Gesù diceva “Ama il prossimo tuo come te stesso” non intendeva questo.

Insomma, la Chiesa, scegliendo Prevost, ha affermato se stessa, l’universalità del suo magistero e soprattutto la sua indipendenza dal potere politico. E ha chiarito al mondo che – nonostante tutte le impervietà del percorso – intende essere pronta a ingaggiarsi nelle sfide del mondo contemporaneo. In primis, la pace. 

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Almeno, questo è ciò che sembra emergere dalla scelta di Prevost, ed è ciò che speriamo in tanti, credenti e non credenti.

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