di Rock Reynolds
Un papa americano è cosa straordinaria (in realtà unica) anche per la galassia evangelica, per tradizione non molto appassionata di cose romane, meno che mai nei lontani, bizzarri Stati Uniti. Qualche mese fa, un paio di settimane prima del giorno in cui Donald Trump sarebbe stato eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti – addirittura con una sorta di plebiscito popolare – ho incontrato il dottor Glenn Young, laureato in Scienze presso la University of Southwestern Louisiana, e specializzato in Educazione Religiosa presso il New Orleans Baptist Theological Seminary.
Oggi ho chiesto al dottor Young, pastore di una grossa chiesa battista di Kilgore, Texas Orientale (feudo trumpiano), di rispondere ad alcune domande che ci aiutino a farci un’idea della reazione della sua comunità alla notizia dell’elezione di Papa Robert Francis Prevost, ovvero Leone XIV. Il reverendo Glenn Young, uomo di grandi letture – nel suo ufficio, i testi sacri agli evangelici affiancano classici come Mark Twain e Dostoevskij – discende del famigerato John C. Calhoun, un politico strenuo difensore dello schiavismo, e sa il fatto suo.
Che sensazioni le ha trasmesso, da americano e da religioso evangelico, la notizia dell’elezione del primo papa statunitense?
«Credo che siamo rimasti tutti sorpresi. Qui si è sempre pensato che nessun cardinale americano sarebbe mai stato preso in considerazione per quel ruolo. Ovviamente, Papa Francesco era sudamericano, una presa di distanza dalla tradizione dei pontefici europei. Dunque, questa scelta si pone per molti versi in un solco di continuità. Se ho capito bene, Papa Leone era molto amico di Papa Francesco. Da queste parti, è girata abbondantemente la voce che il collegio cardinalizio potesse scegliere un candidato africano o asiatico. Con il senno di poi, parrebbe una cosa improbabile. Scegliere un Papa africano avrebbe certamente significato puntare su un papa più conservatore. Non so esprimermi riguardo all’Asia. Dunque, questa scelta stabilisce una certa continuità fra Francesco e Leone. E, ovviamente, malgrado sia nato in America, Papa Leone ha svolto molti anni di servizio per la Chiesa in America Latina. Nonostante io sia un ministro del culto protestante e non un cattolico, resta un fatto eclatante. È ovvio che si tratta di uno dei leader religiosi più importanti del mondo e che dirige la più grande porzione della Chiesa Cristiana. Dove e come guiderà la Chiesa Cattolica ha enormi implicazioni per l’intera Cristianità e la sua voce in politica internazionale lo riflette.»
Cattolicesimo ed Evangelismo sono due mondi a sé stanti. Cosa li separa e cosa li unisce?
«Io provengo da una tradizione religiosa che ha le sue radici nella riforma radicale dell’Europa e che, dunque, per molti versi, rappresenta le reazioni più estreme al Cattolicesimo medievale. Ma il Vangelo è lo stesso e il popolo di Dio e la sua devozione sono gli stessi e oggi scopriamo che molte delle nostre posizioni politiche e sociali più importanti sono le stesse. Ci ritroviamo a essere alleati politici più che avversari teologici. L’aborto né l’esempio cardine. Credo che una delle ragioni per le quali il Protestantesimo ha prosperato nell’America del Nord è il fatto che la democrazia sia stata una parte integrante dell’America fin dall’inizio. Le chiese protestanti tendevano a organizzarsi come congregazioni mentre la Chiesa Cattolica ha un’organizzazione gerarchica. Credo che condividiamo insegnamenti sociali comuni. Tuttavia, anch’essi vengono applicati in modi diversi. In funzione dell’enfasi evangelica sulla responsabilità individuale e sulla gestione congregativa più che gerarchica, tendiamo a essere decisamente più maldisposti verso l’ottenimento degli imperativi sociali della nostra fede attraverso la mano coercitiva del governo. Pensiamo che tutti i progetti sociali, gli aiuti ai poveri, eccetera vadano realizzati, ma, quando vengono realizzati sotto forma di imposizione da parte del governo civile invece che come sforzo volontario dei fedeli, qualcosa di rilevante si perde nella nostra formula caritatevole. Credo che la Chiesa Cattolica, per via della sua struttura, sia più aperta a quel tipo di intervento governativo su larga scala. E, dopotutto, in quanto Cristiani, viviamo nel regno di Dio, non nella repubblica democratica di Dio. Grazie alla sua storia di gesuita e sudamericano, Papa Francesco era decisamente più aperto a certi aspetti della Teologia della Liberazione di quanto noi evangelici riteniamo accettabile. Sarà interessane vedere come affronterà tali tematiche Papa Leone.»
Ultimamente, le relazioni tra Casa Bianca e Vaticano non sono state particolarmente amichevoli. Pensa che l’elezione del primo papa americano possa migliorare le cose?
«Non so bene se Papa Leone possa migliorare tali relazioni. Il Presidente Trump ha un atteggiamento decisamente commerciale e non gli piace mai essere il socio di minoranza e nemmeno quello paritetico. Gli piace comandare. E, ovviamente, la Chiesa è più vecchia, più grande, più duratura e più rilevante di qualsiasi governo secolare. Il Presidente Trump non sarà mai a suo agio di fronte a quell’idea. Un aspetto negativo dell’impero e dell’egemonia è che noi americani tendiamo a pensare con arroganza che il mondo ci giri intorno. Ho il sospetto che questa vanità sia stata propria anche dei cittadini romani d’epoca imperiale. Pensiamo di essere sempre al centro di tutto e che il mondo ci giri intorno. Mentre, ovviamente, la Chiesa ci ricorda duramente che così non è. Il Presidente Trump incarna abbondantemente questo nocivo pregiudizio americano. Non sono certo che Papa Leone possa suscitare cambiamenti da quel punto di vista. Né che lui, in quanto Papa, possa adattarsi a tale pregiudizio.»
Quali sono le implicazioni politiche della scelta caduta su Prevost?
«Ogni governo del mondo ha finito per accettare l’esistenza nei suoi stessi confini di un regno (non una democrazia) più vecchio, più potente, più durevole: il Regno di Dio. Ecco perché, nel corso della storia, il Cristianesimo è spesso stato fatto oggetto di persecuzioni sotto numerosi regimi autoritari. Nessun governo può rappacificarsi con tale dualismo ipotizzando che la chiesa sia impotente o semplicemente un buon vicino di casa o una mera istituzione sociale. La Chiesa lo tollera soltanto perché è buona. C.S. Lewis ha affrontato la questione ne Il leone, la strega e l’armadio. Per prima cosa, è significativo che la chiesa affronti un concetto nella sua letteratura per bambini di cui la maggior parte dei nostri leader secolari globali è del tutto all’oscuro. In quella storia per bambini, qualcuno parla alla piccola Lucy di Aslan il Leone (la figura di Cristo nella storia): “Credo che avrei paura di incontrare un leone”. Lei dice, “È un leone addomesticato?”. Il suo amico risponde, “Non essere sciocca! È ovvio che tu debba aver paura di incontrarlo ed è ovvia che non sia addomesticato. Hai sentito cos’ho detto? È un leone. Ma è un leone buono”.»
Qual è stata la reazione della vostra comunità alla notizia dell’elezione di Prevost?
«Purtroppo, i battisti della mia zona non ci hanno riflettuto tanto sopra, se non per il fatto che, da americani, sono contenti di avere un Papa americano. Tendono ad avere un modo di ragionare provinciale e non sempre colgono l’importanza del Papa e la sua influenza sul mondo e sulla Chiesa. Molti, non essendo cattolici, non riconoscono l’impatto di tale scelta sulle loro vite. Tuttavia, avere un americano in un ruolo del genere è sempre motivo di grande orgoglio. Ovviamente, questo “orgoglio americano” a me pare antitetico rispetto a ciò che il Papa rappresenta.»