Abudulrazak Gurnah e il dovere di accogliere i rifugiati
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Abudulrazak Gurnah e il dovere di accogliere i rifugiati

Il premio nobel 2021 per la letteratura, intervistato dall'Ansa in occasione della Milanesiana, ha espresso la necessità da parte dell’Europa di accogliere quanti scappano dal proprio paese.

Abudulrazak Gurnah e il dovere di accogliere i rifugiati
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4 Giugno 2025 - 11.02 Culture


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All’interno della cornice de La Milanesiana, la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, durante l’incontro L’infinito tra matematici e letteratura – tenutosi venerdì 30 maggio – era presente il nobel della letteratura 2021 Abudulrazak Gurnah, protagonista, insieme al matematico e saggista Paolo Zellini, dell’evento “L’infinito tra matematica e letteratura”, che li ha portati in dialogo a coniugare pensiero scientifico e immaginazione letteraria.

Gurnah, naturalizzato britannico ma originario della Tanzania, la cui letteratura ha spesso trattato di colonialismo ed immigrazione, di memoria ed esilio, della ricerca del proprio posto nel mondo, di povertà e di uomini che sottomettono altri uomini, si è espresso anche in merito al tema dei rifugiati dichiarando: “Abbiamo il dovere di accogliere i rifugiati, che scappano da proprio Paese perché lì rischiano la vita. È una questione di umanità. Ma è necessario distinguerli da chi emigra per motivi economici. Sono due cose diverse, mentre la stampa tende a equiparare”. E sulla questione delle entrate illegali all’interno dell’Europa si è così espresso: “Servirebbe un sistema diverso, in cui si fa una domanda di accoglienza che può essere accettata se ci sono le condizioni oppure no. Ma molti Stati europei non vogliono. Io non ho soluzione al problema dell’immigrazione, la risposta deve darla l’Europa”. 

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L’ultimo romanzo pubblicato, Furto, edito in Italia per La nave di Teseo, è la storia di una famiglia e di tre ragazzi che crescono in un paese divenuto libero da una decina di anni, ma anche l’occasione per l’autore di raccontare di un paese che cambia, che viene stravolto dall’improvvisa modernità giunta al seguito del boom turistico degli anni ’80.

Precisa, però, che: “Il mio non voleva essere solo un discorso sul turismo, ma sulle nuove tentazioni che hanno introdotto quando, in concomitanza con il fatto che il Kenya era diventato sempre più violento, moltissimi turisti dagli anni ’80 in poi sono venuti a Zanzibar. La seduzione del turismo e il cambiamento nel Paese ha provocato un forte impatto ed è centrale nel libro”. La modalità di narrazione non è comunque lineare, infatti Gurnah afferma di aver voluto raccontare “non in modo cronologico tre epoche distinte attraverso i tre personaggi di Karim, Fauzia e Badar, ossia ciò che è accaduto prima, durante e dopo l’indipendenza”.

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Nell’intervista rilasciata all’Ansa prosegue riguardo il personaggio di Badar, del suo restare in una condizione servile per l’intera vita, con una capacità di resistere a un destino infelice Gurnah sottolinea come il personaggio “non fa nulla di eroico, ma sopporta, accetta il suo destino nella vita quotidiana, come fanno molte persone nel mondo. Ma senza mai diventare arrabbiato, senza amarezza, rimanendo sempre gentile”. 

Il personaggio di Raya, che subisce un matrimonio combinato con un seguito di abusi è l’occasione per l’intervistatore di chiedere riguardo la condizione femminile nel paese di origine “Ho 4 sorelle che vivono lì, nessuna di loro ha subito quello che ha subito Raya.

Tra le persone della mia generazione molti matrimoni erano combinati dalla famiglia, spesso c’erano problemi di debiti da saldare, questioni risolte magari dando una figlia in sposa. Ma ci si poteva rifiutare ed esisteva comunque il divorzio. Ora le persone si incontrano durante gli studi, al lavoro e possono scegliere più facilmente. Tuttavia è una situazione che ancora resiste perché a volte ci sono delle pressioni sociali, soprattutto nelle famiglie più religiose e conservatrici, dove si fanno differenze tra generi: in quel caso le donne non possono incontrare uomini da nessuna parte”.

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A quattro anni dal Nobel, Gurnah racconta anche di come sia cambiata la sua vita: “Non mi aspettavo di vincere il Nobel, e nessuno se lo aspettava perché significherebbe essere troppo egocentrici. Il mio nome poi non era neppure tra quelli più probabili, nessuno mi aveva citato come possibile vincitore. La prima cosa che è cambiata è che i miei libri sono stati tradotti in tanti Paesi, ed è bellissimo. Ma la vittoria ha fatto sì che in tanti volessero parlarmi, intervistarmi e questo ha assorbito molto del mio tempo”.

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