“Vedere il dito e non la luna” è un proverbio molto famoso. Si dice che questo proverbio sia di origine orientale, di certo suggerisce che quando qualcuno punta il dito (il dettaglio), una persona non illuminata si ferma a guardare solo il dito, senza alzare lo sguardo per vedere la luna, cioè l’oggetto che il dito indica, che rappresenta “la verità” o il concetto più ampio. E’ quello che sta succedendo con il pontificato di Leone XIV. Ci sono molti dettagli, non uno solo, sui quali si concentra l’attenzione.
Il primo dettaglio è che Leone XIV è nato negli Stati Uniti d’America. Questo ne farebbe un amico di “questi” Stati Uniti d’America. E questi Stati Uniti d’America, in un’ottica interna, sono amici di un cattolicesimo conservatore, identitarista, della serie “Dio, padre e famiglia”. Guardando dall’interno della Chiesa sarebbero quegli ambienti che non amavano il predecessore di Leone. Qui emerge il secondo dettaglio, l’abito. Francesco, il papa della Chiesa in uscita, cioè di una Chiesa che parla con il mondo e con il resto del mondo, una Chiesa che non si fa solo con chi va in Chiesa, con chi ha tutti i bollini regola, chiudendo agli altri, soprattutto ai famosi “irregolari”, aveva dismesso i paramenti imperiali, quel rosso ereditato dall’imperatore romano e che i papi hanno sempre ostentato per indicare “autorità”: una Chiesa imperiale, che non transige, che si considera cioè un giudice al di sopra e al di là della storia. E’ sempre stato così e sarà sempre così. A questa visione Francesco aveva risposto usando apparire semplicemente con la sua veste bianca, un approccio da Chiesa povera e per i poveri: basta impero, piuttosto prossimità.
Il ritorno con Leone XIV dei simboli romani, del rosso imperiale, è dunque il secondo dito sul quale l’osservatore non illuminato si sofferma. Se veste così è perché lui torna a parlare solo con quelli in regola, ritorna alla perfezione. Se fa così è perché quel tipo di visione religiosa che spira da Washington, “legge e ordine” ma anche “Dio, patria famiglia”, gli piaceranno. La divisione tra noi e loro è fondamentale in questo discorso. Che a mio avviso non guarda, non individua la luna.
Non per restare al mondo dei proverbi, ma è fondato anche quello che dice che “l’abito non fa il monaco”. E infatti ieri Leone XIV ha indicato la luna, che pochi hanno notato. Lo ha fatto in due discorsi diversi, molto importanti perché vanno al cuore dell’odierna visione americana: la politica internazionale, cioè il Medio Oriente, e la politica interna, cioè la grande deportazione. Leone XIV si è soffermato nel breve volgere di poche ore su entrambi i temi. Al riguardo della pace, riferendosi espressamente al Medio Oriente e quindi alle azioni militari compiute in questi ultimi tempi, il papa ha detto testualmente: “È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza.”
C’è molto altro, altrettanto forte e inequivocabile, nel suo discorso sulle guerre che impegnano gli USA, con parole altrettanto esplicite e dirette su quanto accade in Ucraina ed a Gaza. Poi, restando concentrato su chi parla e gli Stati Uniti, il discorso prosegue con quanto detto dal papa al riguardo della grande deportazione in un discorso sulla lotta alla droga: “Troppo spesso, in nome della sicurezza, si è fatta e si fa la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte. Chi tiene la catena nelle sue mani, invece, riesce ad avere influenza e impunità. Le nostre città non devono essere liberate dagli emarginati, ma dall’emarginazione; non devono essere ripulite dai disperati, ma dalla disperazione: «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!» (Francesco, Esort, ap. Evangelii Gaudium, 210)”.
Il papa americano cosa fa? Avvicina la cattedra di Pietro a Capitol Hill? A me sembra di no. A me sembra piuttosto, ed è notato in modo insufficiente, che il papa americano dia all’America anche un altro volto. Non c’è più solo il volto di Trump a rappresentare, esprimere l’America odierna. C’è anche il volto americano del papa, che attesta però l’esistenza di un’altra America.
Questo a me sembra il dato, la luna. La Chiesa parla all’America, certamente, ma non ha accettato o subito un’offerta pubblica d’acquisto, piuttosto propone con un papa americano un’altra strada, americana per l’America. Una strada molto diversa, che ricorda piuttosto i quattro grandi americani citati da Francesco nel suo discorso al Congresso Usa: Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. Lincoln è l’americano che abolì la schiavitù, Luther King l’eroe dell’inclusione e del pluralismo, Dorothy Day la bandiera dei diritti dei più poveri, Thomas Merton il nome che ogni americano ricorda se si ricorda del dialogo interreligioso.
L’America ora ha due volti, non più uno solo. Per me la luna da vedere è questa.