di Mario De Finis
Le parole di Papa Leone XIV° pronunciate con fermezza nell’Angelus di oggi “che si fermi subito la barbarie della guerra, l’uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto”, interrogano ognuno circa la necessità di conoscere e guardare in profondità la forza del male che oggi si manifesta.
Se pensiamo nel secolo scorso alle due guerre mondiali e alla Shoah con decine di milioni di morti, e più recentemente alle tante guerre in corso (tra cui Ucraina, Gaza, Sud-Sudan), a quelle dimenticate (Siria, Yemen e tante altre), comprendiamo fin dove può giungere l’orrore del male.
Oggi assistiamo, grazie anche alla scomparsa proprio della generazione di Auschwitz e Birkenau, alla riabilitazione della guerra, considerata una presenza ordinaria e ineluttabile della storia umana. Una presenza che porta tutti i Paesi a riarmarsi: basta pensare alla Germania che arriverà a destinare il 3% del Pil nel 2028 (pari a 400 miliardi di euro!) per le spese per la difesa, con un aumento del 40,7%: come negli anni Settanta e Ottanta, prima della caduta del muro di Berlino.
Ma anche altri Paesi Nato nello stesso periodo 2022-2024 hanno incrementato le spese per la difesa, come Francia (+9,6%), Spagna (+10,6%); sino ad aumenti molto considerevoli rispetto a spese ormai stabili e strutturate da anni , come Lettonia (+48,6%), Russia (+72%) e Polonia (+85,1%),
Un dato, che riflette una più generale tendenza dei Paesi europei e del Canada di aumentare la spesa per la difesa: si proclama esplicitamente il doversi preparare a scenari cupi di conflitto.
In tale contesto l’enorme business della produzione e commercializzazione delle armi, trasversale a tutti gli stati e continenti, irride chi sostiene le ragioni della pace e zittisce il grido delle vittime.
Quel “si fece buio su tutta la terra” narrato dai Vangeli della Passione di Cristo, è la condizione permanente di un mondo che in tanti luoghi della “guerra mondiale a pezzi” (pezzi purtroppo sempre più numerosi e interconnessi) vede fitte tenebre, un cielo chiuso sul dolore di tanti. E’ la realtà di una guerra sempre più «strage degli innocenti», dove la gente comune è costretta a fuggire, dove le città diventano campi di battaglia e i civili subiscono massacri, anche in luoghi tradizionalmente considerati inviolabili come scuole, ospedali, luoghi di culto. Ne siamo informati 24 ore su 24, possiamo seguire letteralmente in diretta questo crollo del mondo: i bombardamenti, la distruzione di interi quartieri con l’uccisione di civili, i massacri terroristici, il dramma dei campi profughi, il terrore negli occhi delle piccole vittime innocenti dell’odio dei grandi.
Secondo la Direttrice generale dell’UNICEF Catherine Russell l’impatto dei conflitti armati sui bambini di tutto il mondo ha raggiunto livelli devastanti record nel 2024, con continue violazione dei diritti alla vita, alle vaccinazioni, alla salute mentale, alla scuola, alla nutrizione
In particolare “I bambini nelle zone di guerra ogni giorno lottano per sopravvivere: le loro scuole vengono bombardate, le case distrutte, le famiglie distrutte. Perdono non solo la sicurezza e l’accesso ai beni di prima necessità, ma anche la possibilità di giocare, di imparare e di essere semplicemente bambini”
Conflitti diffusi, ma che non nascono all’improvviso. La guerra è come già preparata da un clima prima di rassegnazione e impotenza, che diventa poi indifferenza; quindi, vittimismo e infine odio e violenza. Come ha ricordato Mario Giro, citando lo scrittore ungherese Marai: «Non c’è ancora la guerra e già non c’è più la pace». Infatti un odio diffuso e trasversale attraversa le pieghe di una società sempre più frammentata, alimentando una cultura divisiva che porta ad emarginare negli universi concentrazionari contemporanei – il carcere, i cronicari – le RSA per anziani, chi è considerato inutile, inadeguato o irrecuperabile.
Sono i tanti inferni quotidiani e urbani, fatti di violenza, solitudine, abbandono, disperazione, che aspettano oggi uomini di buona volontà – ognuno, credente o meno, può esserlo – che aiutino a liberare tutti dai lacci di una condizione di separazione, schiavitù e morte: vittime della guerra, anziani, profughi, detenuti, senza fissa dimora, disabili, soli.
Tantissimi sono i morti e i feriti – nel corpo e nell’anima – a causa dei conflitti: la condizione di guerra sembra farla ormai da padrona incontrollata della nostra società e del nostro tempo.
Ma, come ha scritto Marco Impagliazzo, “la guerra non è ineluttabile”.
Già Papa Francesco, di fronte alla presunta ragionevolezza storica della cultura e dell’apologia dello scontro, ne ha viceversa spiegato l’inefficacia e la tragicità nella “Fratelli Tutti”: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”
Questa consapevolezza può e deve farsi cultura condivisa e diffusa di solidarietà, anche da parte dei tantissimi che hanno avvertito vuoto di senso e smarrimento con la scomparsa di quel Francesco che incarnava in modo esplicito una visione di pace, una strada di fiducia e di speranza nel futuro, esplicitata con l’indizione di un Giubileo “della speranza”. Tanti, a partire da Papa Leone XIV°, sembrano volerne raccogliere l’eredità.
Può sembrare irragionevole dirlo in un tempo di conflitti diffusi, ma proprio oggi è il tempo della pace.
Perché nel profondo del cuore di tanti – particolarmente oggi – c’è un desiderio, un’attesa di pace e di bene che va coltivato, comunicato e condiviso. E tutti possono essere, lì dove si trovano, dei pacificatori.
Come scrive Erri De Luca: “uomini di buona volontà che fabbricano passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace”.